Premio ‘Master of Cinema’ a Edgar Reitz
Nell’ambito della Festa del Cinema di Roma, domenica 19 ottobre Nanni Moretti ha consegnato al cineasta tedesco Edgar Reitz (che compirà 93 anni tra dieci giorni) il premio Master of Film, di fatto un riconoscimento alla carriera, sebbene il premio riguardi anche il suo recentissimo Leibniz – Chronicle of a Lost Painting. Si tratta di un maestro del cinema tedesco e internazionale, di notorietà acquisita solo a oltre cinquant’anni con la sua straordinaria saga Heimat, e che può stare bene accanto, in un’ideale gerarchia, con tutte le sue specificità, a autori meglio noti della cosiddetta Neue Deutsche Welle e del cinema del 68 e post68: dal maestro Alexander Kluge a Volker Schloendorff, o anche Herzog, Wenders, Fassbinder, Von Trotta (su questo articolato movimento cf. p.es. G. Spagnoletti-A. Izzi, Nuovo cinema tedesco, Roma 2009).
Nato a Mohrbach nella Renania-Palatinato, dai primi anni Cinquanta Reitz si dedica al cinema realizzando documentari e cortometraggi. Amico e coetaneo di Alexander Kluge (https://it.wikipedia.org/wiki/Alexander_Kluge) con lui diffonde il ‘manifesto di Oberhausen’ nel 1962: il documento firmato da ventisei registi dal quale si fa di solito iniziare la storia del nuovo cinema tedesco, con la denuncia della arretratezza del cinema del paese, e l’auspicio di una nuova grammatica filmica, di un cinema indipendente e sperimentale, impegnato socialmente, non commerciale. Fu anche docente di cinema e è probabilmente uno dei registi più preparati anche sul piano teorico e tecnico (movimenti della mdp, montaggio) della cinematografia del suo paese. Tra i suoi lavori si distingue già l’esordio di Mahlzeiten (L’insaziabile) del 1967, un film che ebbe anche un premio a Venezia e che racconta con amarezza un rapporto di coppia. Nel 1971 mostrò per la prima volta la predilezione per film di lunga durata, e segmentati in numerosi episodi (Storia della ragazza del bidone). La collaborazione con Kluge continuava ma a seguito di un’intrapresa fallimentare per il film in costume Il sarto di Ulm del 1978 si chiuse in un silenzio lungo oltre cinque anni. Ma evidentemente stava anche raccogliendo le idee per la fondamentale saga cine-televisa, della durata di quasi 16 ore, di Heimat (1984): uno sguardo da lontano, dalla periferia di un villaggio immaginario di Schabbach, una prima riflessione con molto di suggestivo e di metaforico, girato sia in b/n sia a colori, sulla famiglia, l’umanità, la storia tedesca, e sulla memoria di essa, che dunque include il privato e il pubblico, per oltre un sessantennio. Vi faranno seguito con approcci più storici e cronachistici nel 1992 le 25 ore di Heimat 2– Cronaca di una giovinezza e poi nel 2004 Heimat 3–Cronaca di una svolta epocale, che ci portano fino al nuovo Millennio e ancora ulteriori lavori dedicati all’attualità della ‘patria’ tedesca, con analisi anche su tematiche come l’emigrazione (già ben presenti in autori come Fassbinder). La sua estetica per quanto innovativa e per certi versi vicina come sensibilità e ‘ideologia’ a quella di figure come Godard e lo stesso Kluge “non porta mai la disarticolazione della narrazione agli esiti estremi di questi due capiscuola” (G. Spagnoletti). Reitz torna al documentario nel 2024, con Filmstunde 23 e infine gira la nuova produzione che, semplificando, potremmo definire sui ‘rapporti’ intellettuali fra Reitz e il grande filosofo e matematico Gottfried Wilhelm Leibniz (1646-1716). Ci si augura che non sia il suo ultimo film, come Reitz ha dichiarato di ritenere per motivi anagrafici al momento della premiazione romana.
La filmografia completa di Reitz non in wikipedia ma in< https://www.mymovies.it/persone/edgar-reitz/48540/filmografia/>
