Iran, bastone e carota
La Stampa, pagina 10: “Usa-Iran, ultime scintille. Obama: felici, ma vigileremo”, “La Casa Bianca impone sanzioni (leggere) per i missili. Israele: ayatollah più forti”. Scrive Francesco Semprini da New York che quelle imposte da Obama sono sanzioni sul programma missilistico di Teheran, sospese all’inizio dell’anno. Insomma, la Casa Bianca “vuole mantenere una certa pressione su Teheran -scrive Semprini- sia per garantire il rispetto degli accordi presi, sia per evitare che la Repubblica islamica ceda ad altre tentazioni pericolose”, perché la rimozione delle vecchie sanzioni “libera una enorme quantità di denaro che potrebbero anche essere utilizzate per spese militari audaci. Ed è questo il grande timore di Israele, dove prevale un clima di sconfitta, con il tabloid ‘Yediot Ahronot’ che titola a tutta pagina ‘La vittoria iraniana’ e parla di ‘successo della politica degli ayatollah’”.
Sulla stessa pagina il “retroscena” da New York di Paolo Mastrolilli: “Ora Washington chiederà a Teheran un aiuto per fermare la guerra in Siria”, “La Casa Bianca pronta a rispondere a violazioni, ma comincia la fase 2”. Scrive Mastrolilli che “il banco di prova per le nuove relazioni con l’Iran saranno le trattative per fermare la guerra in Siria. Ad ammetterlo, forse per la prima volta, sono autorevoli fonti dell’amministrazione Obama, durante una conference call con i giornalisti. Finora l’accordo nucleare era stato tenuto separato dal resto del contenzioso ra Washington e Teheran, per non condizionarlo e non creare aspettative troppo alte”.
A pagina 11 una intera pagina dedicata alle conseguenze dell’accordo sul nucleare: “Arriva il greggio iraniano, chi vince e chi perde”, “Il Paese rilancia l’export di petrolio in un mercato già saturo: il rischio è che la caduta del barile acceleri. Per la Cina è un’opportunità, per l’Ue un’incognita sui prezzi. Gli Usa tremano e la Russia rischia la recessione”. E i riflessi di questo accordo negli Usa (“Produttori verso il fallimento. Wall Street teme gli speculatori”), in Cina (“Pechino pronta ad accelerare le importazioni da Teheran”), in Europa (“Energia sempre più low cost. Ma la deflazione fa paura”) e in Russia (“L’onda d’urto sconvolge i bilanci. Mosca taglia sanità e pensioni”).
A questo tema è dedicato l’editoriale in prima di Mario Deaglio: “Il fattore-Iran che spaventa l’economia”. Per l’Italia, scrive, l’aumento di domanda derivante dalla fine di sanzioni internazionali in Iran potrebbe rappresentare una sorta di parziale compensazione a fronte dei danni derivanti all’economia italiana dalla sanzioni internazionali alla Russia. Ma “nel giro di poche settimane, l’Iran si prepara a inondare il mercato petrolifero con almeno mezzo milione di barili aggiuntivi al giorno, stando al suo ministro degli Esteri, il che farà aumentare di almeno un terzo lo squilibrio tra un’offerta abbondante e una domanda molto debole, visto l’elevato livello delle scorte già esistenti”. E la razionalità dei comportamenti dei produttori di petrolio pare “un ricordo del passato e la componente religiosa è largamente determinante. Il più che millenario conflitto tra i musulmani sciiti (che hanno il proprio capofila precisamente nell’Iran), appoggiati dalla Russia, e i musulmani sunniti (che hanno nel territorio dell’Arabia saudita il principale centro religioso e l’origine dei maggiori flussi di petrolio) determina i comportamenti dei governi e i prezzi dei mercati”.
Su Il Messaggero l’analisi di Francesco Grillo: “Dalla crisi del petrolio una nuova idea di mondo”. Grillo cita le opinioni di quanti ritengono che su petrolio si sta consumando una drammatica partita a poker nella quale il giocatore di poker più forte -l’Arabia saudita e le altre potenze del Golfo- si stanno giocando la sopravvivenza, quindi hanno inondato il mercato di greggio per metter fuori gioco gli altri concorrenti, a partire dai produttori americani che, utilizzando le tecnologie di trivellazione laterale hanno fatto degli Stati Uniti il primo produttore a livello mondiale”. Ma, sottolinea Grillo, “non possiamo più dipendere da regimi autoritari che assicurano stabilità temporanee in cambio di tensioni permanenti. Gli Stati Uniti non possono più permettersi di fare da ‘cane da guardia’ di un mondo sempre più esposto a forze centripete che le stesse tecnologie della comunicazione innescano”.
Su La Repubblica: “Obama: ‘Evitata una guerra’”, “Il presidente americano dopo l’accordo con Teheran: ‘Non avranno l’atomica’. Rouhani: ‘Una vittoria’. Gli Usa scongelano 1,7 miliardi, ma intanto impongono nuove sanzioni. Crollano le Borse dei paesi arabi”.
Sul Corriere a pagina 14: “Obama: successo. E subito annuncia nuove sanzioni”, “Il presidente attaccato dai repubblicani: debole”. Ne scrive da New York Giuseppe Sarcina. E di fianco, un articolo di Viviana Mazza: “Rouhani esulta. Ma i riformisti già banditi dal voto”, “Elezioni a marzo: escluso ieri il 60% dei candidati”.
La Repubblica intervista l’analista Vali Nasr, ex consulente del Dipartimento di Stato (autore de “La rivincita sciita”). Dice: “Ora tocca all’economia approfondire il dialogo, con l’Iran si può parlare”, “Vedremo quante altre crisi, dallo Yemen alla Siria, beneficeranno della svolta”. E’ sicuro che rta dieci anni, quando si parlerà di questo accordo sul nucleare “il credito andrà a Obama come quello per l’apertura alla Cina è andato a Nixon”. Dice Nasr: “E’ chiaro che le differenze tra Iran e Usa restano e i repubblicani sono pronti a rimarcarle. In entrambi i Paesi ci sono elezioni e l’opposizione per vincere attacca”. A Teheran circolano voci che il presidente Rouhani possa un giorno diventare Guida suprema dopo Khameney. Nasr risponde: “non mi stupirei affatto, perché anche Khameney è diventato Guida suprema dopo esser stato presidente”.