Tempesta sulle banche
In prima su La Stampa Mario Deaglio, scrive che “è difficile calcolare con precisione a quanti miliardi ammonta, in tutto il mondo, la distruzione di ricchezza finanziaria provocata dalla caduta delle quotazioni in Borsa” di questi giorni”. “Quali sono i motivi di questo crollo, largamente imprevisto?”, si chiede. Le risposte: “all’inizio si è cercato di dare la colpa al rallentamento della crescita cinese, un alibi che non ha tenuto a lungo, vista l’esiguità di tale rallentamento. Poi la si è attribuita al crollo del prezzo del petrolio, una causa certamente importante, ma probabilmente non la principale”. La vera ragione “sta ‘dentro’ ai mercati borsistici, al loro modo di funzionare, alla loro crescente dissonanza dal sistema economico-sociale che li ha espressi. Il loro meccanismo permette miliardi di operazioni automatiche di compravendita al giorno, che scattano, grazie a un ordine dato da un computer, appositamente programmato, quando le quotazioni raggiungono un determinato prezzo. Tutto ciò va bene quando i mercati hanno di fronte un mondo relativamente stabile, una crescita economica razionalmente ipotizzabile e non invece quando situazioni impreviste (ivi compresi gli arrivi dei migranti, l’importanza assunta dal terrorismo islamico, le prospettive, improvvisamente incerte, della crescita economica mondiale) vengono a turbare i calcoli finanziari quando specifici dati negativi si sommano a generiche paure”. Ma “come impedire che la malattia della finanza globale infetti l’economia reale del pianeta, come è successo nel 2008? La risposta immediata non sta nei mercati ma nelle autorità di vigilanza al di fuori dei mercati e gli strumenti da utilizzare sono i vari meccanismi limitativi delle transazioni di mercato, a cominciare dal divieto di vendite allo scoperto”. Occore poi “accertare l’entità dei danni occulti, “ossia dei ‘buchi’ che le perdite di questi giorni apriranno nei bilanci delle istituzioni finanziarie che detengono i titoli maggiormente penalizzati dalla caduta”, “è necessario porre qualche limite all’assoluta libertà delle transazioni finanziarie mondiali in favore di un sistema che non ripudi il mercato, ma lo armonizzi, indirizzando le sue energie alla soluzione dei problemi delle disuguaglianze, delle decrescenti opportunità dei cittadini medi di trovare occasioni di lavoro, di uno sviluppo potenzialmente disumanizzante” E Deaglio sottolinea che, “per una coincidenza non banale, mentre ieri la caduta raggiungeva il suo massimo, Papa Francesco inviava un duro messaggio al Forum Economico Mondiale di Davos” perché i poveri “non vengano dimenticati e lo sviluppo venga umanizzato”.
La Stampa, pagina 4: “Davos, la Grande Paura sorprende i vip dell’economia”, “Nessuno se l’aspettava: in agenda solo temi politici e ambientali”, scrive Francesco Manacorda.
La Stampa intervista Niall Ferguson, storico dell’Economia ad Harvard: “Il mondo è malato di deflazione e la Fed ha sbagliato i tempi sui tassi”, “rischiamo 20 anni si stagnazione”, “La Cina svalutando peggiora le cose. Un’escalation della violenza im Medio Oriente alla fine porterà il petrolio a risalire”.
La Repubblica, alle pagine 2 e 3 raccoglie il parere di cinque economisti sui mercati e l’Italia (“E’ crisi finanziaria? No, l’economia reale non va così male, il rischio è il contagio”). Rispondono Michael Spence (“Tanti gli errori, tassi troppo bassi e stime irrealistiche sul pianeta Cina”), Kenneth Rogoff (“Non è il collasso, Europa e Usa stanno risalendo e l’Italia cresce”), Domenico Siniscalco (“Quadro pericoloso e per noi c’è anche il caso sofferenze scoperto in ritardo”), Emma Marcegaglia (“Sul greggio pesa un’iperspeculazione. Ci siamo rimangiati i guadagni del 2015”), Jacob Frenkel (“Mercati sconnessi dalla realtà, la crescita c’è e aumenta il lavoro”).
A pagina 3 l’analisi di Federico Rampini: “Cina, petrolio e debiti, ecco le tre condizioni della tempesta perfetta. E i rimedi tardano”, “Dalle incognite del nuovo modello di sviluppo a Pechino al controschock energetico: così arriva il peggior inizio dell’anno sui mercati. Le mosse della Fed”. Scrive Rampini che “la turbolenza non riguarda solo chi ha investito in azioni: petrolio e valute ci stanno indicando problemi in arrivo anche per l’economia reale”. Sulle cause: “al primo posto c’è la transizione della Cina verso un nuovo modello di sviluppo”; al secondo posto il 2contro schock petrolifero che dura da quando ci furono il rallentamento cinese e la rivoluzione energetica americana: ma di recente con la guerra geo-economica tra Iran e Arabia saudita ha assunto le caratteristiche di una rotta disordinata”. Il calo del petrolio, che è sceso ieri sotto i 27 dollari al barile, “destabilizza non più solo i petro-Stati, ma anche le banche occidentali che hanno prestato al settore petrolifero”. Terzo fattore, secondo Rampini: “la svolta monetaria della Federal reserve”, che a dicembre “ha rafforzato il dollaro creando problemi a chi in dollari si è indebitato (Stato sovrano o impresa) in giro per il mondo”.
Tempesta sull’Italia, Mps, bad bank
Il Corriere della Sera, pagina 5: “Summit tra Renzi, Padoan e Visco. ‘Fermeremo la speculazione’”. E le parole del presidente dell’Associazione bancaria italiana Patuelli, che parla di “attacco all’Italia”. Il quotidiano intervista John Cryan, il manager britannico che guida la Deutsche Bank. Dice: “Chi vende i titoli delle banche, vende un Paese”; “quando cade tutto il mercato, anche le banche cadono. Anzi, le azioni più grandi e importanti sono colpite ancora di più. Se un investitore vuole uscire dalla Germania, vende le blue chip, e quindi vende anche Deutsche bank”. Perché le banche italiane soffrono di più? E in particolare qual è il problema di Monte Paschi Siena? “Non posso fare commenti, posso solo dire che Mps è una banca in una Regione bellissima come la Toscana”.
Il Corriere della Sera intervista anche la commissaria Ue alla Concorrenza Marghrete Vestager: “Sulla bad bank discutiamo, lavoriamo per un accordo”, “alla Bce valutano l’insieme di un bilancio, noi le specifiche posizioni”.
Su Il Manifesto, pagina 3: “Il crollo del Monte Paschi è un viatico alla ‘svendita’?”, si chiede Riccardo Chiari ricordando che ieri il titolo ha perso il 22% e che il governo è “cauto” in attesa della ‘bad bank’; “ed è proprio quella della ‘bad bank’ la variabile che alimenta le incertezze e le manovre speculative”.
Su La Stampa: “Vertice anti-crisi su Montepaschi. ‘Verso l’ok dell’Europa alla bad bank’”, Task force di Renzi, Padoan e Visco. Dal Tesoro fino a 40 miliardi di euro di garanzie”. Ne scrive Alessandro Barbera: “a Mps non manca la liquidità; grazie all’ombrello della Bce, nessuno oggi ha questo problema”. Ma nonostante due ricapitalizzazioni, sta subendo svalutazioni pesantissime. I contatti tra Roma e Bruxelles sembrano aver sciolto il nodo della trattativa, ovvero la natura dell’intervento statale: “nel nuovo schema il Tesoro non ha introdotto una garanzia indistinta per tutti, ma la attiva caso per caso. Le banche, singolarmente o in gruppo, istituiscono una società ‘veicolo’ (la ‘bad bank’) a cui vengono ceduti i crediti in sofferenza, ovvero fondi prestati a imprenditori o privati che per via della crisi non sono più in grado di restituire. Il meccanismo prevede che quel credito venga acquistato ad un prezzo più basso e rivenduto sul mercato. Ma chi garantisce che quel prezzo sia abbastanza basso da non far perdere soldi alla bad bank? Ecco che entra in gioco lo Stato, come una sorta di assicuratore. Non versa soldi a fondo perduto, ma li presta, con la promessa di avere una parte dei ricavi della vendita. Interviene su richiesta delle banche, evitando di far scattare l’accusa di aiuto di Stato”.
La Repubblica: “Tesoro e Bce in campo per lo scudo anti-crisi. Bad bank in due tempi e subito aggregazioni”, “Ecco la strategia allo studio per mettere in sicurezza il sistema gravato da oltre duecento miliardi di sofferenze dopo sette anni di crisi”.
[22 gennaio 2016]