Martin Michael Driessen, Padre di Dio, Del Vecchio Editore 2015
C’è una lingua ricercata in questo strano romanzo che mette insieme la storia della religione cattolica con la fantasia più creativa dell’autore. E tuttavia la narrazione scorre veloce sotto gli occhi, come se ci addentrassimo in un luogo che conosciamo bene (la storia della Bibbia) dove però sono cambiati totalmente gli arredi. E la vicinanza con cui Driessen mette in scena Dio, in casa con la governante Bartje, ci rende immediatamente prossimo questo personaggio con le sue indecisioni e le sue risolutezze, i suoi capricci e la sua infinità capacità di modellare sogni, mondi, relazioni umane. Le tante citazioni e gli innumerevoli riferimenti dalle Sacre scritture, inseriti magistralmente nel romanzo, non appesantiscono minimamente la storia. Dio è un io che parla attraverso la storia e le storie dei Vangeli. Una specie di io che si inventa un padre: “Scacciò le mosche che ronzavano intorno alla faccia di Mosè e lo voltò sulla schiena. Provò a immaginarselo come il suo defunto padre. Riflettè su quanto sarebbe stata arida la sua esistenza se non avesse creato l’uomo”. E poi si inventa un figlio: “così sarebbe andato incontro al proprio destino con l’incedere a tentoni di un fanciullo umano, manchevole, ignaro, e legato soltanto da quel filo sottile al padre onnipotente […]”. Ma dentro a questo romanzo sorprendente ci sono anche i Vangeli apocrifi e le domande eterodosse su chi fosse davvero Gesù e quale fine reale abbia fatto, al di là della narrazione biblica. È qui che lo scrittore olandese ha un guizzo e mentre nelle prime ottanta pagine il libro ha l’andamento di una narrazione piana che racconta vicende “storiche” ben conosciute, con inserti di vita familiare, quella tra Dio e Bartje, nella seconda parte dà l’avvio ad un vero e proprio romanzo d’avventura. Dopo l’annunciazione e la nascita di Gesù Giuseppe, il padre/non padre, o meglio il padre dell’immanente. E “una volta riconosciuto Gesù come sui figlio, Giuseppe divenne incontenibile. Maria lo esortava a lasciare un po’ in pace il bambino, ma lui insisteva che Gesù era l’eletto e, quando era appena fanciullo, gli fece imparare a memoria il suo albero genealogico. […] A volte Giuseppe pensava di amare Gesù più dei suoi stessi figli. Ne aveva tre: due femmine e un maschio”. Ecco che allora, Giuseppe rapisce Gesù. Sapendo a quale fine è destinato, Giuseppe rapisce suo figlio e scappa con lui come un clandestino, come un imboscato, per terra e per mare. Tanto che il lettore apprezzando il ritmo narrativo, comincia anche a porsi dei dubbi. E cioè la domanda che si pone a questo punto del racconto è: chi ama di più Gesù? Dio o Giuseppe? Che è un po’ il grande quesito dostoevskijano. Decisamente Padre di Dio è un romanzo da leggere con gioia.