Chi bombarda chi?
Sul Corriere della Sera, pagina 2: “Siria, telefonata Putin-Obama. Intanto l’artiglieria turca continua a colpire i curdi”, “Il Cremlino: ‘D’accordo a cooperare contro il terrorismo’. La Casa Bianca: ‘La Russia smetta di bombardare i ribelli’”.
Su La Stampa, pagina 2: “Obama chiama Putin: ‘Basta bombardare i gruppi ribelli in Siria’”, “Mosca: ‘Serve un fronte comune contro il terrorismo’. America in pressing sui turchi perché fermino i raid anti-turchi”. È un articolo di Francesco Semprini da New York. Sulla stessa pagina, l’analisi di Stefano Stefanini: “Zar Vladimir gioca d’anticipo”, “Il dilemma del Cremlino”, “Nato, Ucraina e sanzioni. L’anno decisivo dello zar”, “Vladimir dovrà scegliere se alzare la posta con Damasco e Kiev o sfruttare la finestra della Casa Bianca ancora aperta al dialogo”. Vengono sottolineate da Stefanini due scadenze importanti in vista: il vertice Nato di Varsavia dell’8 e 9 luglio e il rinnovo delle sanzioni Ue, che scadono il 31 luglio. Washington “sarà l’ago della bilancia del vertice Nato. Mosca lo sa benissimo; gli altri alleati, Germania compresa, sono comprimari. Questo vertice è l’ultimo con l’amministrazione Obama; poi, alla Casa Bianca, ci sarò un nuovo (o una nuova) Presidente. Trattare con Obama o aspettare? Ecco la terza scadenza: il cambio della guardia a Washington”.
Su La Stampa: “Damasco accusa la Turchia: ‘I vostri soldati sono entrati in Siria’”, “Colonne di pick up e centinaia di uomini schierati nel Nord. Ancora colpi sui curdi. Jet sauditi nella base di Incirlik: i russi non salveranno Assad. Mosca: senza di lui il caos”. Ne scrive Giordano Stabile.
E sulla stessa pagina il “retroscena” di Francesco Semprini e Giordano Stabile: “Un’armata curda per prendere Raqqa. Gli Usa puntano sul modello ‘Kobane’”, “Ma se il Peshmerga riuscissero a liberare la capitale dell’Isis il fronte del conflitto sarebbe tra Washington e Ankara”. Il modello Kobane, la vittoriosa difesa della città curda dal settembre 2014 al gennaio 2015, ha spinto Washington a formare le Syrian Democratic Forces (SdF). E’ un’armata di 40 mila uomini (30 mila curdi) che controlla la striscia a Nord della Siria, tranne una fetta in mano ai ribelli filo-turchi, con il posto di frontiera di Bab al-Salama, e un’altra in mano all’Isis, con il valico di Jarabulus. L’SdF è stato protagonista di un’offensiva a Nord di Raqqa- Ma la battaglia di Aleppo ha scombussolato i piani: i curdi hanno approfittato delle difficoltà dei ribelli filo-turchi per strappargli la loro fetta di confine. Nella battaglia sono entrati anche gli alleati arabi di Jaish al-Thuwar, anche se hanno specificato che l’obiettivo finale è di battere l’Isis. Vero, scrive il quotidiano: ma intanto ora l’SdF è in guerra con la Turchia. E il sogno del grande Kurdistan, incubo di Ankara, si avvicina. Anche perché nel modello Kobane i curdi iracheni sono intervenuti a fianco di quelli siriani, come racconta Twafiq Duski, colonnello dei Peshmerga che ha guidato i primi rinforzi dall’Iraq: “Il 28 ottobre 2014 -racconta- mi ha chiamato il presidente Barzani, ordinando di andare a Kobane e aiutare i fratelli siriani impegnati contro gli uomini del Califfo”. Sono stati 175 i Peshmerga a partecipare alla spedizione: “Il 29 ottobre ci siamo posizionati a ridosso del confine, attraversando un pezzo di Turchia. Ma Ankara ci ha fatto attendere prima di darci il via libera ed entrare”. Allora, si ricorda, il 75% della città era in mano all’Isis.
Su La Repubblica: “Obama chiama Putin: ‘Basta bombe’”, “Colloquio ‘distensivo’ sulla Siria. Il senatore repubblicano Mc Cain: ‘Quella dei russi è una trappola’. Medvedev replica: ‘Assad legittimo presidente’. Damasco: ‘La Turchia ci attacca’. Ankara colpisce i curdi”.
Su La Repubblica Fabio Scuto racconta “L’assedio di Aleppo”: “Ribelli, esercito e jihadisti, lo scontro finale che può decidere la guerra”, “Sfiancati dai bombardamenti russi, i miliziani si preparano a battersi strada per strada”.
A pagina 7 un’analisi di Renzo Guolo: “Truppe di terra per fermare l’Is, l’ultimo azzardo di Ankara e Riad”. Il bersaglio vero -scrive Guolo- “non è tanto l’Is, quanto il futuro geopolitico della regione. A preoccupare Ankara e Riad è la vittoria dell’asse sciita sponsorizzato da Putin. L’intervento del Cremlino, che guida una coalizione dagli obiettivi strategici chiari -proteggere gli interessi russi in Medio Oriente e nel Mediterraneo, consentire all’Iran di agire come potenza d’influenza in un’area in cui la presenza sciita è vitale, evitare che il Libano in cui Hezbollah esercita ormai un ruolo nazionale possa gravitare verso una Siria dominata dai sunniti -ha mutato radicalmente il quadro. Minacciare di entrare in Siria con truppe saudite e turche , punta ad impedire che il disegno russo-iraniano si realizzi: l’Is è così il grimaldello che consente alle due potenze sunnite di perseguire il proprio disegno. A partire dalla liquidazione del fantasma del Grande Kurdistan per Ankara e della necessità di Riad di impedire quella stabilizzazione del regime di Assad, o chiunque gli succeda, che segnerebbe la vittoria dell’odiato Iran e potrebbe generare tensioni interne con le correnti wahabite filo-Is”.