18 Novembre 2024
Words

Orfani di Umberto Eco

Chiunque abbia conosciuto Umberto Eco nel cuore suo, oltre a volergli bene, lo temeva. Ed era bello temerlo. Infatti, Eco, nato il 5 gennaio 1932 ad Alessandria e scomparso la sera del 19 febbraio a Milano, è stato prima di tutto un grandissimo intellettuale, ossia l’uomo che dall’alto del suo sapere e della sua esperienza di vita, giudica e si schiera. Un intellettuale vero, ed Eco era uno degli ultimi al mondo ad appartenere a questa categoria, difficilmente distingue tra il proprio privato e il pubblico. Ecco perché lo temeva non solo il potere, ma anche la cerchia dei suoi conoscenti e amici.

In realtà, però, Umberto era un uomo mite. Un po’ perché sapeva quanto la rabbia fosse faticosa e inutile, ma prima di tutto perché la sua mitezza era il risultato di una profonda riflessione. Detto brutalmente (e con ammirazione), era il maestro assoluto nell’arte di vivere la contraddizione, aveva una rara capacità di conciliare in un modo che sembrava armonioso, le antinomie in apparenza inconciliabili.
Era un accademico (senza di lui niente semiologia) e al contempo autore di testi giornalistici, anzi l’uomo che dentro al mondo dei media sapeva muoversi come se tutta la sua vita professionale si fosse svolta nell’ambito del giornalismo. E basti pensare al suo impegno con L’Espresso, alla Bustina di Minerva. Infatti, qui all’Espresso l’abbiamo sempre temuto. Ma l’abbiamo anche pensato come uno di noi, però un po’ migliore, e più colto di tutti noi messi insieme.
Come si diceva, Eco era un grande accademico, ma anche l’uomo che spiegò, fu tra i primi a farlo, quanto la cultura popolare, il fumetto nella fattispecie, siano spesso anche dei testi dai forti risvolti filosofici (Charles Schulz, il papà dei Peanuts, per il Nostro era un maestro dell’etica). E ancora, con “Il Nome della Rosa” il semiologo si era trasformato in un romanziere: non un semplice scrittore, ma un autore di bestseller (tradotto in quaranta lingue, 30 milioni di copie vendute). Però, si trattava di un bestseller che non assomigliava a tanto ciarpame che va di moda. “Il nome della Rosa”, contiene considerazioni filosofiche che riportano a Tommaso d’Aquino, Aristotele, Guglielmo d’Ockham; tocca la disputa teologica sulla povertà nella Chiesa (e papa Francesco sembra talvolta uscito dalle pagine di quel libro) e ha una struttura stratificata, che si presta a mille letture e infinite interpretazioni.

Affascinato dalla molteplicità dei codici e dei significati, Eco ha dedicato molto tempo ed energie allo studio delle varie teorie di cospirazione; quel modo di interpretare il mondo semplificandolo, dandone una versione che possa spiegare in apparenza tutto, ma che riduce il tutto a una narrazione nichilistica e senza speranza, mentre lui cercava invece il desiderio che poi è fondamento di ogni immaginazione e quindi dell’avvenire (cosa è il futuro se non il frutto della nostra immaginazione?).

Per capire quell’universo oscuro e pieno di falsità ha scritto “Il cimitero di Praga”, un romanzo in cui risale alle origini dei “Protocolli dei savi saggi del Sion”, dandone una paternità diversa da quella convenzionalmente accreditata. Ma soprattutto, in questo romanzo spiega come tutte le teorie di cospirazione muovano dalla stessa matrice. Declinata poi secondo codici diversi.
Eco era una persona che ci ha insegnato la cosa più difficile da comprendere e accettare: che ogni opera crea un linguaggio nuovo, quindi ogni linguaggio porta con sé infinite possibilità di interpretazione. Un intellettuale quindi che ha anticipato il postmodernismo? Sì. Ma poi, al contrario di quanto sopra, Eco era un intellettuale moderno; uno che sapeva quanto abbiamo bisogno, ancora, di categorie, gerarchie, ordine, sapere generale e non solo parziale e frammentario, quanto la conoscenza delle nozioni, dei dati e delle date, della storia e della geografia, fossero importanti. O, se vogliamo, ci ha insegnato che per sovvertire il linguaggio (strumento di potere) bisognava prima di tutto padroneggiare il linguaggio.
Sì, per lui padroneggiare era importante. Lo dimostra la sua ultima, estrema impresa: La nave di Teseo, una casa editrice nuova. Oltre la contingenza (la nascita di ‘Mondazzoli’) dopo essere stato autore di libri e delle parole, Eco voleva esserne anche il padrone. Nel migliore senso della parola: uno che si gioca il tutto per tutto. Ora la Nave di Teseo sta per salpare. Senza di lui, ma con i suoi libri.

Nell’epoca della frammentazione del sapere e della infinita riproduzione delle fonti, Umberto Eco è stato uno degli ultimi intellettuali veri, un uomo che cercava di abbracciare la totalità del sapere. Ci lascia orfani.

[da L’Espresso]