Francesco Tomada, Portarsi avanti con gli addii, Raffaelli Editore 2014
Tomada torna all’intensità della sua prima, formidabile, raccolta poetica (“L’infanzia vista da qui”) che ho salutato – tra i primi a farlo, ci tengo – come uno dei migliori esordi poetici degli ultimi venti anni. Adesso, il poeta del nordest trova di nuovo la voce più autentica per raccontare porzioni di interiorità individuale che scoppia dentro agli affetti familiari e rifrange nel corpo sociale più ampio che siamo noi, umani europei alle prese con i nostri declini e i nostri disturbi, tanto da progettare una sorta di testamento delle questioni più spinose e basilari della vita del poeta che parla con un io mai condiscendente e sempre più convinto della poetica stringente del guardare al mondo dal guscio capovolto di un disincantato sognatore, di un resistente fantasista della misura del dolore e dei sentimenti quotidiani.
Ci sono alcuni gioielli in questo libro “Portarsi avanti con gli addii” che testimoniano una pervicacia argomentativa che non scolora in varianti di maniera, anzi si rinfocola di nuove parole che cadenzano ulteriori notevoli grumi di pensiero, intorno a temi eterni come la morte, la malattia, gli affetti, la paternità.
Per esempio la poesia “La fiducia” che parla di un genitore che sta morendo: “…tra lei e me le parole più importanti/sono sempre state quelle non dette/per questo se le volessi mentire/non saprei nemmeno come fare/vieni che ti aiuto ad arrivare in camera/mi guarda e mi sorride come a intendere/che ha capito tutto/sa/che la sto accompagnando/molto più lontano”.
Oppure la poesia “Quello che posso insegnare”: “Intanto impara due cose semplici/non come ieri che hai attraversato/la strada senza guardare/per la paura poi ti ho abbracciato/gridando/hai spiegato che non si sentiva/il suono di nessun motore/intanto impara due cose semplici/le auto di domani saranno sempre più silenziose/e non è detto che chi ti sta aspettando/sia sempre qualcuno che ti vuole bene”.
E poi la poesia “Lietofine”, quando in fondo ricorda una cosa che il poeta ha imparato “la più inutile di tutte/scoprire che se pedali forte in bicicletta/ti nasce intorno un vento/che per gli altri non soffia”.
Ma già la poesia d’apertura “Liberaci dal bene” vale l’apertura di questa raccolta poetica che attraversa, come nella prima, alcuni pensieri fissi dell’autore, come i testi sulla sorella morta di parto e il rapporto coniugale e amoroso con la propria compagna, descritto bene nelle due parti della poesia che dà il titolo alla silloge: sulla prima di queste avrei alcune cose da dire direttamente a Tomada. E non è detto che non lo farò…