Gomorra ovvero il rischio della camorra “accettabile”?
L’avevo scritto tempo fa in un breve commento su un social. Oggi leggo che lo scrivono autorevoli sociologi. La serie televisiva “Gomorra”, prodotto avvincente e di grande qualità della piattaforma Sky (non ho perso una puntata), sotto la supervisione di Roberto Saviano, rischia di alimentare un modello sociale positivo o comunque accettabile. Lo scrittore napoletano, punto sul vivo, risponde che invece la serie mette a nudo la crudeltà del sistema camorristico; il che è vero, ma solo parzialmente ovvero contraddittoriamente. Il mondo di “Gomorra” -così come televisamente rappresentato- è sì pervaso di violenza, ma è una violenza che diventa linguaggio, che sta dentro un mondo a parte, quasi parallelo al resto del mondo. La violenza è dentro lo scontro fra bande e clan, quindi appare ragionevole, cioè fisiologica a quella rappresentazione. Lo Stato appare del tutto assente ed incidentale, niente di più che uno sfondo. E’ vero che, nei paesi in mano alla malavita, specialmente nel nostro meridione, l’autorità pubblica è spesso assente; ma nella fiction di Sky non appare un’assenza per incapacità o scelta, ma un’assenza conseguente ad un “copione” che non ne ha bisogno; questa differenza non è marginale. Lo Stato scritto da Saviano e dai numerosi registi di “Gomorra” quindi non sembra necessario. Questo Stato non indispensabile ricorda un pò il Dio assente nell’Universo che lo scenziato Laplace presentò a Napoleone. Alla domanda dell’imperatore del perchè non avesse inserito una presenza divina, con tono un pò insolente l’interlocutore rispose che non aveva previsto un Dio, perchè quel mondo funzionava lo stesso; non ne aveva bisogno come sembra non avere bisogno di uno Stato ovvero di una società esterna il mondo di “Gomorra”, che è immaginato e scritto non come il risultato del trionfo della malavita contro lo Stato, in una guerra che comunque è stata combattuta o che è stato scelto di non combattere, ma come un universo che dello Stato proprio non ha traccia, neanche traccia della sconfitta; non ne ha bisogno, neanche come nemico. E, quindi, quel mondo a parte finisce fisiologicamente per piacere o comunque per apparire come naturale fino al rischio di farsi modello; perché –qui sta il punto- alla fine è un modello che funziona, anche perché appare invincibile, senza rivali, perché le tensioni e le guerre stanno dentro il proprio confine. Violento, duro, spietato ma è un mondo rappresentato con una sua “morale”, nel quale si spara ed uccide, ma si fa anche una vita che non ha niente della vita ordinaria, è una vita di armi, droga, sangue, ma anche donne, belle auto e soprattutto di dominio e di eccezionalità. Ecco perché la fascinazione è possibile. Perché la società chiusa e autosufficiente (perché di questo si tratta) di “Gomorra” può diventare un modello. Al di là delle volontà e della buona fede (fuori discussione) dei suoi ispiratori e produttori.