Il TTIP, l’Europa economica e gli USA
La leadership globale degli USA è palesemente in crisi, il mondo è sempre più multipolare, così come ha dimostrato oggi Mosca in Siria e prima in Crimea e in Ucraina; e la politica di Obama è stata allora quella di impostare come risposta due grandi trattati economici, che potessero replicare il vecchio prestigio che Washington si era costruita all’inizio della fase unipolare, quella del Washington Consensus e della illusoria riduzione della Russia post-comunista a potenza regionale.
Ormai anche gli USA devono però agire a livello regionale, come gli altri competitors internazionali quindi, allora, bloccato il WTO dai veti reciproci, com’è successo recentemente a Doha, non rimane che la politica dei trattati economici speciali, il TTIP per gli europei e il TTP per la regione Asia-Pacifico.
Il TTIP, quando era stato programmato, valeva il 33% del commercio internazionale in beni, il 42% in servizi, e oltre il 50% in investimenti Esteri Diretti in tutto il mondo, raccogliendo dietro la sua egida le nazioni che producono il 46% del PIL internazionale. Nei documenti ufficiali per i governi europei, la Commissione di Bruxelles inoltre chiede già ai Paesi extra-UE di partecipare all’accordo TTIP, pensando che la “dimensione commerciale più rilevante sia degli USA sia della UE possa richiamare i Paesi “terzi” a partecipare, per garantirsi i nuovi incentivi”, alla programmata Partnership euro-atlantica.
Il TTIP viene oggi presentato come un accordo che riguarda il 40% dell’economia mondiale, un terzo del commercio mondiale e una struttura, soprattutto, tale da condizionare i Paesi in Via di Sviluppo. Gli Investimenti Esteri Diretti sembrano essere spariti dalla scena. Nel suo discorso ad Atlanta del 5 Ottobre 2015, Barack Obama ha detto esplicitamente che “non possiamo permettere che un paese come la Cina possa scrivere le regole del commercio mondiale”. Il fatto è che la Cina Popolare è già la prima economia del mondo, almeno se calcoliamo i valori secondo i criteri PPP, Power Purchasing Parity. La parità di potere di potere di acquisto.
L’ansia pervade già Washington. L’accordo TTIP non è previsto alla firma se non alla fine del 2016, nella migliore delle ipotesi, e questo, da quello che è dato sapere, riguarda i contrasti tra le normative UE e USA riguardo ai fitofarmaci, alle medicine per gli uomini, all’agricoltura, che l’UE ha giustamente protetto e sovvenzionato fin dall’inizio della sua avventura istituzionale, e infine il sistema della gestione dei contrasti tra USA e EU sul piano commerciale.
I leaks, che spesso mandano notizie al pubblico sulle trattative segretissime tra Europa e Stati Uniti, hanno l’unico fine di irrigidire entrambe le parti. In quasi tutti i Paesi UE vi saranno inoltre, tra breve, cambi di governo. Sta salendo la marea sovranista e nazionalista, e quindi i tempi per un TTIP favorevole agli USA sono sempre più ristretti. Nessuno poi vuole una espansione economica degli USA dentro una UE in palese crisi economica, il che vorrebbe dire vendere i propri asset a un potentissimo concorrente che potrebbe comprarli a prezzi di realizzo.
Guadagna spazio, anche nei partiti di Destra, l’idea eurasiatica di un’alleanza economica “tra Lisbona e Vladivostok”, mentre molti paesi UE, tra i quali l’Italia, hanno la necessità vitale di recuperare i legami economici con Mosca, che la Federazione Russa ha volontariamente aggravato, dopo le sanzioni per la guerra prima in Crimea e poi in Ucraina.
Se poi gli accordi di Minsk per l’Ucraina, contratti con la Russia, non saranno implementati a breve, gli USA potrebbero essere autorizzati a pensare che la situazione possa rapidamente peggiorare sul campo, e quindi potrebbero sostenere gli ucraini con armi evolute a capaci di creare una credibile deterrenza nei confronti di Mosca. Per non parlare dello scudo missilistico in Polonia nei confronti di Mosca, apparentemente modellato contro l’Iran, e le tre nuove divisioni USA dislocate ai nuovi confini della vecchia e nuova guerra fredda. In questo caso aumenterebbero le sanzioni internazionali contro la Federazione Russa, e la questione per la UE sarebbe quella di “prendere o lasciare” il TTIP.
Per il TTP, l’accordo per l’Asia e il Pacifico, le cose non vanno meglio. La Cina, come era ovvio, non ha accettato le condizioni proposte dagli USA, né l’India si è nemmeno sognata di accettarle. Pechino ha già messo in atto la sua contromossa, quella di creare la Regional Comprehensive Economic Partnership, che completerà certamente alla fine di quest’anno. L’India, peraltro, sta discutendo i termini per aderire all’accordo economico made in China ed ha già aderito alla Shangai Cooperation Organization, la struttura militare anti-terrorismo creata tra Russia e Cina fin dal 2001. E l’India ha già dichiarato di voler partecipare al progetto cinese di “Nuova Via della Seta”, che Xi Jinping ha dichiarato aperto nel 2013. Perfino la Corea del Sud, alleato storico degli USA nella regione, ha criticato Washington, che ha risposto a Seoul di crearsi da solo un arsenale nucleare contro Pyongyang.
Insomma, anche gli USA dovranno adattarsi, prima o poi, a un nuovo mondo multipolare, che avrà serie conseguenze anche per l’economia e la finanza nordamericane.