IL PAESE DEL PASTAZZO
Il pastazzo è la metafora del nostro paese. Con questo termine dalla rima imbarazzante si intende il residuo del trattamento degli agrumi. Poco tempo fa, c’è voluta una legge per stabilire se il pastazzo sia o non sia un rifiuto. Come ha scritto di recente un giurista del calibro di Sabino Cassese un grande ostacolo alla crescita del paese è la bulimia legislativa, il bisogno di normare tutto e di farlo nel minimo dettaglio, entrando anche negli aspetti più minuti del vivere e del produrre; cosicchè al cambiare (oggi continuo e turbolento) delle tecnologie e dei bisogni, c’è l’esigenza di nuove leggi e nuovi vincoli. La legge cioè ha smarrito la sua dimensione generale ed astratta; non si ferma più ai principi, ma entra nel particolare fino al puntiglio. A parole questo è il paese dove tutti sono liberali, ma non c’è governo che abbia resistito allo spasimo regolatorio. Anche in questa caratteristica è difficile scorgere differenze fra destra e sinistra. Una logorrea legislativa così diffusa e capillare (ci sono anche le Regioni) che nessuno è in grado di dire con precisione quante sono le leggi attualmente vigenti. Il costituzionalista Michele Ainis ha tentato un conteggio, individuandone più di 34000, ma ha dovuto precisare che è un calcolo molto approssimativo. A parole non c’è Governo che non abbia denunciata la insostenibile giungla normativa che opprime singoli ed imprese, ma tutti poi, quando si tratta si raccontare i propri risultati, snocciolano il numero di leggi approvate, mentre il vero risultato sarebbe il numero di leggi cancellate. L’articolo settanta della Costituzione di recente riscritto, anche nell’obiettivo dichiarato di voler “semplificare”, contiene oltre quattrocento parole, a fronte delle nove parole del vecchio articolo sostituito (cioè quello più “complicato”). Siccome le leggi sono spesso scritte in modo spesso pasticciato ed illeggibile, allora si apre la strada anche al continuo intervenire della magistratura amministrativa o contabile che cercano di chiarire, interpretare o surrogare, finendo con l’aggiungere alle leggi una sterminata selva di pareri e sentenze, spesso in contraddizione l’una con l’altra, in una paese che ormai è un caso unico al mondo, perché è allo stesso tempo di common law e di civil law. Insomma, l’Italia resta il paese che ebbero a descrivere due studiosi inglesi in un bel reportage datato 1901, prefatto da Benedetto Croce, nel quale, tra l’altro, è scritto “…gli italiani hanno un sistema molesto ed irritante di ostacoli burocratici” (Bolton King e Thomas Okey). Se, però, a tutti è chiaro il problema, allora perché insistono con nuove leggi e tormenti normativi? A mio modesto parere la risposta è semplice: attorno alla complessità normativa si è costruita una vera e propria economia, che mi piace definire “economia del comma”, un’ industria fatta di consulenze, pubblicazioni, software, pareri, libri, inserti. L’economia del comma è l’unico Pil che cresce davvero e con due cifre. Il punto, però, è che quella crescita risucchia energie all’economia vera, che stenta anche per quel fardello, tanto pesante quanto spesso inutile o eccessivo. Tuttavia nessuno sembra avere il coraggio e la forza di combattere le forze che vivono dell’economia del comma.