15 Novembre 2024
Italic

Il coraggio di morire per una pianta

Non se ne è parlato quanto si dovrebbe. Anzi, è una vicenda archiviata piuttosto in fretta. Un paio di sere fa, nella campagna palermitana, due carabinieri in borghese stavano indagando su una coltivazione illegale di cannabis, quando due ombre vigliacche le hanno colpite alle spalle con una pioggia di proiettili. Uno dei due carabinieri è rimasto illeso, caricandosi sulle spalle il compagno straziato dai colpi d’arma da fuoco, in una corsa disperata verso i soccorsi. Tutto inutile. Poco dopo, il maresciallo Silvio Mirarchi è morto. In tempi in cui si parla di eroismo a sproposito, di certo è eroico il solido senso del dovere quotidiano di quei due carabinieri. Ma, in questo drammatica storia di coraggio, l’abnegazione del maresciallo Mirarchi è ancora più evidente –qui sta il cuore del mio ragionare-, se consideriamo quanto sia fuori tempo una legislazione che fa della lotta ad una “pianta”, ancorchè di marjuana, la sua priorità. Chiunque abbia un po’ approfondito scientificamente il tema, sa che la domanda da  vizio, di ogni vizio, è inelastica, cioè chi cerca droga o gioco d’azzardo è indifferente al prezzo; cercherà comunque di soddisfare il suo bisogno, a qualunque costo. Perciò la vera priorità dovrebbe essere agire sulle radici del vizio; quelle sono da sradicare, prima delle piantagioni di cannabis. Quando ero militare a Cividale del Friuli (ormai un secolo fa), una sera, nella parte in ombra di un giardino pubblico, notai un distinto giovanotto, che si accomodò su una panchina, si guardò intorno con circospezione (ma neanche troppa), poi estrasse da una ventiquattrore una elegante scatola; l’aprì e ne estrasse una siringa già pronta, che si conficcò nel braccio, dopo averlo denudato. Siccome non aveva niente del tossico di quegli anni, vedendolo sudare copiosamente e pensando che si stesse iniettando un farmaco, preoccupato mi avvicinai e gli chiesi se avesse bisogno di aiuto. La risposta del giovane fu disarmante ed illuminante allo stesso tempo: “…adesso sto bene. Stavo male prima e tornerò a star male dopo, ma adesso mi lasci tranquillo”. In quelle parole c’era in verità molta spiegazione del perché si ricorre alle droghe. E c’era una risposta: è il bisogno che deve essere sconfitto prima della sostanza. E’ sul malessere o sul vizio che dovremmo concentrare le forze e non soltanto sulle sostanze che producono dipendenza; perché chi cerca di sballarsi, oggi più che mai, può farlo in mille modi. Può anche solo andare a cogliere la comune pianta di stramonio ai margini di un fosso o di un rudere abbandonato. Concentrarsi sull’impedire la coltivazione di piante come la cannabis mi pare un errore strategico, uno spreco di risorse e di vite; è quanto meno sproporzionato nel rapporto costi-benefici (gli americani cessarono con il proibizionismo proprio dopo un ragionieristico calcolo cost-benefici). In un mercato ormai senza confini, con internet che può spiegarti come costruire una bomba o una droga sintetica (i giovani greci si stanno bruciando il cervello con droghe ricavate dai prodotti per la casa), c’è da chiedersi il senso di una lotta contro la coltivazione della marjuana, il cui mercato illegale attualmente è una delle maggiori fonti di finanziamento della mafia. La vera sfida (la sfida più razionale e conveniente) sarebbe affrontare il disagio o il vizio che alimentano il bisogno, separandoli dalle “sostanze”, perché la sostanza è quasi sempre l’effetto piuttosto che la causa. In un paese che dice di essere popolato da liberali dovremmo, una volta per tutte, uscire da un’impostazione legislativa che, troppo spesso, ha tendenze pedagogiche e paternaliste, usando invece la ragione e l’esperienza, costruendo una politica che, appunto, agisca prima di tutto sulle cause che portano all’uso di droghe, anche intervenendo contro le sostanze, ma distinguendo, evitando cioè di sparare cannonate ad un moscerino. In un saggio dal titolo “Morale e mercato”, l’economista americano, Daniel Friedman, a proposito del mercato della droga, ha scritto “…la guerra alla droga, finora, ha portato prosperità all’industria che offre droghe illegali e all’industria della repressioni, ma ha riservato solo miseria ai contribuenti ed ai comuni cittadini”; concludendo quindi che: “…la società sicuramente trarrebbe una vantaggio da un’ulteriore crescita dell’industria delle riabilitazione e dallo sviluppo di più efficaci programmi di prevenzione”. Non mi pare di dover aggiungere altro.