21 Novembre 2024
Italic

LO STATO “BOSS” CHE GESTISCE LA BISCA

Sedici milioni di italiani, fra i 16 ed i 64 anni, hanno giocato almeno una volta nella vita per soldi. 23.883 sono, ad oggi (ma domani saranno già di più),  gli utenti dei servizi pubblici e privati, che curano la dipendenza da gioco (ludopatia). Nel 2015 gli italiani hanno speso quasi novanta miliardi di euro per giocare: dalle slot alle videolottery. Quasi  ottantaquattromila sono gli esercizi commerciali “generalisti” che hanno slot nei loro locali. Circa nove miliardi sono le entrate per l’erario, nel 2015, da tasse sui giochi, senza contare il grande mare del gioco in nero controllato dalla criminalità organizzata. (Per inciso, una tassazione di neanche il dieci per cento sul volume di affari dei giochi è francamente incomprensibile, se la paragoniamo a quanto sono tassate attività produttive ben più apprezzabili dal punto di vista dell’impatto sociale). Queste comunque sono cifre di  una vera e propria economia del vizio. Un circuito di interessi che si avvita su stesso producendo ed alimentando il bisogno, la malattia e poi, se e quando funziona,  la cura. Di recente  il Governo Renzi – gliene va dato atto- ha cercato di arginare il fenomeno –un fenomeno che sta gettando nella disperazione centinaia di migliaia di famiglie-, per la prima volta impegnando cinquanta milioni di euro per la prevenzione delle ludopatie, individuando una strategia (ancora troppo timida) per ridurre i luoghi dove si può giocare, vietando la pubblicità dei giochi sulle rete generaliste. E’ ancora poco, ma qualcosa si è mosso. Tuttavia, la verità amara è che le entrate da giochi –come si è visto- sono entrate troppo significative perché lo Stato (amministrato da destra o da sinistra)  immagini una fuoriuscita dal business;  per cui prevale una logica da “vittime” collaterali” di cui prendersi cura, lasciando però che le slot continuino a macinare soldi e vite. Il gioco d’azzardo in sé consuma la grande contraddizione (il cinico pragmatismo) della cultura proibizionista, che, in verità, proprio perché cinica, proibizionista lo è solo parzialmente. Non a caso, nel “Giocatore” ,  Dostoevskij  si poneva la retorica domanda: “…E perché il  gioco sarebbe peggiore di un qualsiasi altro mezzo di far denaro, per esempio, magari del commercio?” . Lo Stato risponde a quella domanda, continuando a stare dentro il grande affare. Le vittime da gioco sono ormai quante (ma anche di più) le vittime da eroina. La dipendenza da gioco è terribile quanto quella da droghe pesanti, anche perché, quasi sempre, nella fasi acute, si lega ad altri vizi, a partire dall’alcol. Il gioco d’azzardo  spesso è proprio il “veicolo” che porta ad altre dipendenze. Eppure, il potere pubblico spende miliardi, in uomini e mezzi, per combattere le droghe (anche quelle leggere), ma il gioco d’azzardo (come del resto l’alcol) è legalizzato; anzi si spendono miliardi per combattere il gioco in nero, preoccupandosi non tanto dei danni da ludopatia, ma dei mancati introiti alle casse dello Stato. Coerenza vorrebbe che, se si è proibizionisti, lo si è con tutto ciò che è vizio e dipendenza, ma non è così. La risposta a questa contraddizione, però, non sta tutta o solo dentro i cinici interessi dello Stato (sennò perché non guadagnare anche dalle droghe?);  ma va ricercata anche nella cultura popolare ovvero nel nostro sentire collettivo. Gli americani scoprirono questa (amara) verità, studiando il fenomeno del proibizionismo. Per quanto l’alcolismo producesse più vittime delle droghe, si accorsero che il primo era accettato  dal popolo come un vizio naturale, una consuetudine, la droga no, era respinta come vizio intollerabile ovvero come una sorta di decadimento sociale.  Questa la ragione di fondo per cui il proibizionismo contro l’alcol fu abolito. Allora come agire? Personalmente ho maturato la convinzione che, contro le dipendenze (che non siano dipendenze da corpi ed anime come la prostituzione, tanto per intendersi), servono a poco i divieti, servono invece cultura, educazione, progetti di vita. Va anche bene (il male minore ?) che sia “legale” il gioco d’azzardo, tuttavia credo allora che  si dovrebbe legalizzare (legalizzare che non significa liberalizzare!) anche  l’uso di sostanze stupefacenti, almeno le cosiddette droghe leggere. Però –qui sta il punto- la legalizzazione non dovrebbe voler dire che lo Stato si fa o resta titolare/produttore di quei  vizi socialmente pericolosi. Si facciano pure pagare le tasse a chi lucra sulle abitudini “viziose”, purtuttavia  lo Stato non può –come fa coi giochi- essere il titolare delle “sale” che poi concede in cambio di corrispettivi economici, peraltro piuttosto benevoli.  Un conto è legalizzare e controllare, un conto essere il boss della bisca.