23 Novembre 2024
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Boris Pasternak, LA NOTTE BIANCA, Biblioteca dei Leoni Editore, Castelfranco Veneto 2016, euro 12,00

Una delle menti più libere del Novecento. Uno degli spiriti più acuti e poetici. Un uomo che ha dedicato alla letteratura e alla Russia, al popolo russo, la sua vita. Boris Pasternak è riconosciuto in tutto il mondo come il grande romanziere di un titolo contrastato e inevitabile, incantato e straziante: Il dottor Zivago.

Tuttavia Pasternak è stato un grande poeta, come fin dalla metà dello scorso secolo si accorse la critica letteraria occidentale. E se è vero che il suo romanzo ha travalicato la sua fama e la sua poesia, è anche vero che dopo la bella curatela di Bruno Carnevali alle poesie dell’autore russo, anche l’Italia non ha potuto ignorare questa poetica del sentimento e della bellezza. Uscendo dagli anni Settanta, tronfi di sperimentalismo e ideologia, le patrie lettere italiche hanno faticato a capire una voce pura come quella di Pasternak, eppure non si è potuta sottovalutare la spinta del poeta russo che raccomandava il “non venir meno dell’uomo all’uomo”, anticipando di alcuni decenni uno degli slogan del Maggio francese, stilato da Raoul Vaneigem: “l’unica radicalità è diventare umani”.

Oggi, uno dei maggiori poeti italiani, che da anni si dedica alla letteratura russa, Paolo Ruffilli, ha preso in mano Pasternak e Zivago insieme e ha tirato fuori un libro che condensa quasi l’intero percorso dell’autore russo. La notte bianca è la raccolta delle poesie che Pasternak fa scrivere a Zivago nel suo romanzo e sono come arte “al servizio della bellezza.” “E la bellezza è la felicità di dominare la forma e la forma è il presupposto organico dell’esistenza”. Ruffilli entra dentro questa massa di tensione vitale e se ne appropria, restituendola alla lingua italiana con la semplicità della prima lingua. Nel suo caso tradurre sarà anche tradire, ma è, in sostanza, illuminare altri mondi. La base di partenza sono le versioni delle poesie come apparvero nella rivista russa Znamja nell’aprile 1954. E basta leggere i primi versi della poesia Agosto, per capire seriamente ciò che Pasternak intendeva dell’arte, cioè un’illuminazione profonda della vita che entra da una finestra e si deposita nella forma che l’inquilino può leggere. Dice la poesia: “Come promesso, mantenendo la parola/il sole è entrato di primissima mattina/con una obliqua striscia zafferano/dalla tendina già fino al divano./Ha tinteggiato di ocra caldo/il bosco, le case del villaggio,/l’umido cuscino del mio letto/e l’orlo del muro dietro lo scaffale./Allora mi è venuta in mente la ragione/di quella traccia di umido sul mio cuscino./A darmi, in sogno, l’estremo addio,/in corteo mi seguivate dentro il bosco…”.

Nel bene e nel male è il racconto della felicità di esistere. L’alter-ego di Pasternak, il personaggio Zivago, si definisce in questo libro, e racconta la sua esistenza con queste poesie che sono tappe della sua vicenda romanzata. Pasternak è lì, accanto, a condurre il filo dello stile poetico, mentre la vita che esonda, imbizzarrisce, si addolora e deflagra è tutta nelle corde spezzate di Zivago, quell’altro sé che Pasternak condivideva in sogno e in vita, immensamente.