Certo che l’Islam c’entra
La terribile strage di Nizza del 14 luglio scorso si porta dietro commenti e frasi che ormai stanno diventando di rito, quasi scontate, come se quelle morti ormai appartenessero ad un quotidiano che si ripete. Abbiamo introiettato la lettura della “società liquida” –che evoca comunque languore e “linearità”-, tanto cara a Bauman, mentre in verità sembra che la nostra società si stia sfaldando, un ghiacciaio che si scioglie ed improvvisamente si frantuma, schiantandosi in mare (il tentativo di golpe fallito in Turchia, in queste ore, sta in questo procedere per esplosioni e salti). Dentro quel buco nero di follia, aperto dal terrorismo islamico, si confrontano e scontrano (anche in questo caso ritualmente) due approcci: chi coglie l’occasione per proporre muri e difese della “occidentalità” contro l’Islam; chi, di contro, propone dialogo e cultura, integrazione e “salva” l’Islam in quanto religione di pace. Trovo quei due approcci inadeguati. Se il primo, con le sue pulsioni xenofobe, mi pare assolutamente inaccettabile, l’altro appare come un approccio difensivo, omertoso, quasi impaurito. E’ frutto di quella sorta di complesso di colpa (alimentato soprattutto da certa cultura sedicente progressista), per il quale in fondo l’Europa come un po’ tutto l’occidente quegli attentati se li è “meritati”, per il colonialismo nuovo e vecchio, per un modello di sviluppo che alimenta benessere ma anche disuguaglianze terribili, per la globalizzazione, per gli irresponsabili attacchi ad Iraq, Afghanistan o Siria da parte degli USA, Gran Bretagna o Francia. In qualche modo, nelle pieghe di questo ragionare, affiora una certa “comprensione”, un farsi alibi della follia di chi sceglie di massacrare famiglie e bambini che passeggiano tranquillamente lungo il mare in una calda serata d’estate. Quel modo di ragionare, perciò, contiene un errore ed un pericolo che poi rendono inadeguata ogni difesa. E’ vero che Europa ed occidente (uso queste espressioni tanto per capirsi) hanno molte responsabilità sull’attuale condizione del mondo, ma è altrettanto chiaro che il terrorismo islamico non ha un disegno (per quanto folle) di giustizia sociale. Il suo obiettivo (dichiaratamente) si concretizza tutto nella volontà di debellare il modello “secolarizzato” delle società aperte, della democrazia, delle libertà di pensiero e di culto. In questa pretesa egemonica e di sottomissione ai valori dell’Islam, il terrorismo è fortemente connesso alla religione. Non è vero quindi che, con i folli del terrore, la religione islamica non c’entra niente. E’ vero che i terroristi hanno fatto più morti fra islamici che fra non islamici, ma questo dato è la conferma che la religione c’entra, eccome. Fra tante sfumature e differenze, siamo comunque di fronte al perpetuarsi (certo alimentato anche dagli errori di Bush e Blair in Iraq) dello scontro secolare fra Sunniti e Sciiti, che sta devastando prima di tutto il Medio Oriente ed è uno scontro “religioso”. Che poi Religione e Potere, da sempre, si confondano e si sostengano, è la solita vecchia storia, direbbe il detecitive Rust. Ci sono i terroristi, ma ci sono gli Stati sunniti che li alimentano e finanziano. C’è l’Arabia Saudita che bombarda lo Yemen e finanzia le Moschee dell’integralismo religioso salafita un po’ in tutta Europa; quell’integralismo religioso (ufficiale) che, nel IX secolo, ha sconfitto l’Islam più razionale ed illuminato e che propone una concezione del Corano come “increato”, cioè direttamente derivato da Dio e, quindi, non “mediabile”. Gli Sciiti si contrappongono, almeno in parte, a questa interpretazione, addirittura accusando i Sunniti di aver “modificato” il sacro Libro. Pertanto, siamo dentro la Religione, siamo nel pieno di una guerra dentro la Religione che poi si espande all’esterno, verso l’occidente delle libertà, che è un nemico condiviso, ma anche una terra contesa di predicazioni che in comune hanno il profondo disprezzo per i valori che noi definiamo semplicisticamente illuministi o democratici. Riconosciuto che l’Islam ha una responsabilità non significa certo demonizzarlo o metterlo al bando (come vorrebbero i sostenitori dei muri), ma costruire –quello sì- il muro dei diritti come invalicabile, non negoziabile con nessuna religione o ideologia; significa prima di tutto chiedere conto a quel mondo delle proprie responsabilità, anziché fermarsi sulla soglia di un presunto rispetto verso la religione; significa rimettere in discussione i rapporti con i Paesi Islamici, se questi non fanno i conti con i diritti e le libertà. A tal proposito, lo scrittore turco Orhan Pamuk ha detto: “…i paesi islamici devono fare propria la democrazia, il rispetto delle minoranze, il voto delle persone. Lo fanno raramente”. Su quei principi, francamente, non mi pare che l’Europa o il cosiddetto occidente debbano arretrare o fare ammenda. Di certo, se devono fare ammenda, non è per eccesso, ma per difetto di promozione e difesa di quei valori.