Tremonti elogia Karl Marx
L’ultima fatica del professor Giulio Tremonti, rischia di passare ai posteri come un sinistro “memento mori”. Mundus Furiosus si intitola ed è il racconto di crisi attuali e prossime venture – finanziari, geopolitici, istituzionali, sociali – che minano le fondamenta del Vecchio Continente, un tempo, per l’appunto, denominato come “mondo furioso”. Un libro scritto lo scorso inverno, prima che nel referendum britannico prevalesse il voto di chi voleva uscire dall’Europa. Soprattutto, prima della sanguinosa offensiva jihadista delle ultime settimane: «Il problema dell’Europa non è solo in Europa. Non puoi capire quel che succede in qualunque posto se non parti da lontano. La globalizzazione impone un metodo. Uno dei limiti culturali di oggi è che si prende il particolare e lo si usa per raccontare il generare. È sbagliato: se c’è un tempo in cui la storia non è chiusa in un luogo, è questo».
Qual è, allora, lo scenario di fondo cui ascrivere la crisi dell’Europa?
Lo scenario va oltre i confini dell’Europa e c’è il rischio che coincida con la crisi della società occidentale. Se vogliamo far finta di essere persone di cultura, possiamo rifarci a “Declino e caduta dell’Impero Romano” di Gibbon. La storia dell’impero romano da lui narrata si chiude con la tragedia finale, con la caduta. Una dinamica che si sviluppa su due piani e con due traiettorie. Sul piano orizzontale, Roma si estende troppo, va quasi oltre i confini della natura. La traiettoria verticale è quella della caduta dei valori. Ora, è vero che la storia non si ripete mai per identità perfette, però qualche analogia c’è. E va considerata proprio per evitare all’Occidente di fare una fine come quella di Roma.
La nostra crisi sul piano orizzontale qual è?
Lei ricorda l’antico slogan rivoluzionario “collettivizzazione ed elettrificazione”? Uno slogan nuovo e molto più vasto è “globalizzazione più rete”. Questa combinazione non solo estende, ma dilata i confini dello spazio. Aggiunge e sovrappone alla realtà fisica una dimensione metafisica. Lo vede scorrendo dalla finanza forzata per algoritmi con frequenza parossistica, lo vede nell’annichilamento delle masse, nella solitudine nella moltitudine, generata dagli smartphone, lo vede nella caduta delle antiche gerarchie nell’anarchia, lo vede nella micidiale combinazione tra arcaico e ultramoderno propria delle immagini usate sulla rete dal terrorismo. Se vogliamo sdrammatizzare, un sistema di videogame. Parlando della finanza usavo l’immagine della sequenza dei mostri in arrivo. Se il videogame della finanza è dominato dall’idea irresponsabile del lucro, altri sono dominati dalla cifra del terrore. Si tratta di cose totalmente diverse, ma si collocano comunque tutte nella dimensione estremizzata del nuovo spazio.
E la traiettoria verticale?
Nel mondo in cui siamo entrati, si troverebbe benissimo Eliogabalo con il suo speciale set di valori e stili di vita. Un mondo molto lontano da quelle che sono state le radici della vecchia Europa e penso anche dell’Occidente. Un mondo neanche tanto pagano, quanto piuttosto dionisiaco, panteista. Un mondo in cui si ammettono per lo stesso individuo identità multiple. Per esempio, uomo di giorno, donna di notte. Un mondo in cui un matrimonio si celebra con un clic, in cui la dieta prende il posto di Dio, l’estetica il posto dell’etica.
Come mai, questa crisi di valori?
Ciò che impressiona, ma in parte anche spiega la cascata fenomenica dei valori, e con questa la caduta della civiltà occidentale nella sua dimensione sociale, è la scomparsa del tempo. Prima, nella dimensione del tempo, eri responsabile verso le generazioni passate e verso quelle future. Nell’era del tempo istantaneo, questi vincoli di responsabilità, queste dimensioni scompaiono.
Se noi assomigliamo all’impero romano, i barbari di oggi sono i migranti?
Non userei la parola “barbari”. Chi migra non è un barbaro. Comunque, i barbari non avevano la televisione, ma comunque “sapevano” dell’esistenza di Roma. Questi non sono barbari e hanno le televisioni. È la televisione il motore virtuale che muove le masse. Un motore più forte dei motori a scoppio. È un processo che ha alla base masse di persone che si spostano da sud a nord. A lato ci sono i nuclei rivoluzionari, prima Al Qaeda, ora l’ISIS.
È la televisione che muove le masse verso l’Europa?
La storia si ripete per analogie, mai identica. Nel 1995, ne Il fantasma della povertà, scrissi che le televisioni, trasmettendo l’immagine del nostro benessere attivavano un processo opposto a quello coloniale: non noi da loro, ma loro da noi. In Mundus Furiosus, invece, cito i disegni dei bambini dei paesi più poveri esposti su un tavolo alla Biennale di Venezia. Sono tutte immagini del nostro benessere, ricevute attraverso la televisione. Un caso in cui gli artisti dimostrano di capire la realtà più dei politici. Certamente sono processi che si sviluppano attraverso le strade della tecnologia. Il potere dell’immagine è molto più potente del motore a scoppio.
Le cito un testo che lei stesso ha scritto nel 1998, su Liberal: «L’uomo di internet sembra infinitamente potente, libero di ibridare dimensioni eterogenee: reale e virtuale, universale e particolare», scriveva. Aggiungendo, però, che c’era un rischio: «che il combinato mercato-media soffochi la democrazia».
La ringrazio per le citazione, a cui replico con un’altra citazione. Lo scorso 27 luglio, sul Fatto Quotidiano, Daniela Ranieri ha scritto un articolo intitolato “Nuovo jihad e Pokémon Go, il videogame del nichilismo” che mi è molto piaciuto e che dice più o meno le stessa cosa: che quel che hanno in comune la app per dare la caccia ai mostri e le stragi imprevedibili di quest’estate hanno in comune la caduta della barriera tra reale e virtuale. Un altro caso di ibridazione tra reale e virtuale e tra fisico e metafisico è la finanza. È come un videogame, pure quella: virtuale massimo, reale minimo.
Le diranno che sta paragonando la finanza globale allo Stato Islamico…
No, certo. Sono realtà totalmente diverse. Hanno in comune la cifra della non realtà o della distorsione strumentale della realtà. La differenza è che uno, il terrorismo, è il male. L’altro, la finanza, forse non è il bene.
In che senso “non è il bene”?
Di troppa finanza si muore. E muore la finanza stessa. E non per caso ma pour cause, Marx vede nei tassi zero la fine del capitalismo. Qui c’è il rischio di una finanza insufficiente per eccesso. Quasi quasi è più capitalistico il falsario di Napoli che in tempo reale, con perfetta tecnologia, riproduce le nuove banconote da 20 euro. L’effetto ricchezza di Napoli non è poi tanto diverso dall’effetto ricchezza di Francoforte.
Tutto questo cosa produce sul futuro della politica?
Credo che tutto quanto è successo negli ultimi venti anni abbia cancellato tutte le letture politiche, tutte le dialettiche costruite negli ultimi duecento anni. Credo che sia essenziale capirlo. Diversamente, i politici rischiano di fare la fine dei generali francesi della Maginot che fermi all’interno della super-trincea cementata della Maginot ignoravano la forza politica e rivoluzionaria del motore a scoppio.
Questo si applica all’elettorato italiano…
La mia impressione è che la situazione attuale sia abbastanza simile a quel che è già successo nel 1992. Molto simili gli elementi della confusione e dell’illusione. Del resto, nella storia quello italiano è il laboratorio politico per eccellenza. E lo vedi nei numeri. Tu oggi hai il 50% degli aventi diritto che non vota, equamente distribuito da chi lascia fare e da chi è schifato dalla politica. L’altro 50% va poi nettizzato di almeno un 5% di voti bianchi o nulli. Inoltre, all’interno di quel meno della metà che vota hai la prevalenza delle forze che il pensiero convenzionale definisce nella migliore delle ipotesi, anti-sistema, nella peggiore – o meglio, in quella che per loro è la peggiore – come populiste. In questo scenario, se vuoi recuperare voti, non devi parlare ”da politico di politica“. L’unica via è quella della realtà. Tentando di intercettare i bisogni e le speranze dei popoli. In ogni caso dal basso e non dall’alto. E in ogni caso, dalla verità e non dalle bugie.
Il senso della legge elettorale e della riforma costituzionale, stando alle parole di chi la sostiene, è quella di ridare alla politica gli strumenti per poter agire sul contesto. Lei che ne pensa?
La riforma elettorale disegnata dal governo è costruita in funzione di una governabilità da ottenere con la leva di un vastissimo premio di maggioranza. La tecnica dei premi elettorali si basa su di una finzione politica, che trasforma la minoranza in maggioranza. A fin di bene, naturalmente: per assicurare che ci sia comunque un governo.
È un altro videogame?
Ricorda l’Homo Ludens di Johan Huzinga, secondo cui il gioco è fondamento di ogni cultura dell’organizzazione sociale. Se ci fa caso, pure il sistema elettorale primigenio e principe, quello inglese, si chiama “first past the post” (il primo oltre il palo, ndr), come in un torneo medievale. E un sistema che funziona in condizioni di normalità, ma non funziona in un tempo come quello presente in cui devi governare fenomeni globali ad alta intensità e complessità: le migrazioni e il terrorismo internazionale, la degenerazione della finanza, gli effetti sociali della rivoluzione digitale, la crisi generale dell’Europa. In questi termini, la nuova legge elettorale non difende la democrazia ma all’opposto la stravolge, a partire dalla pretesa di trasformare in maggioranza la minoranza della minoranza.
Si spieghi meglio…
Un partito potrebbe vincere ballando tra il 40% e il 30%… del 50%. In questo modo chi ha poco più del 15% dei voti, si prende il 51% dei seggi. Se non è realtà virtuale pure questa. Con un particolare in più: che altri videogame, nel bene o nel male, funzionano, nella realtà. Qui invece perdi in partenza, non hai alcuna legittimazione. Se parti così, non ti fanno nemmeno fare le nomine per amici e parenti. Non è che ti mandano a casa. Ti vengono a prendere a casa.