L’economia delle olimpiadi di Rio
Il Brasile è oggi una delle tante vittime delle agenzie di rating. Nel 2001, la terra della bossa nova era stata identificata come “una delle economie a più rapida crescita del PIL”, la misura di tutte le cose, il Prodotto Interno Lordo, secondo quei costosi dilettanti di economia. Poi la crisi globale, la corruzione colossale brasiliana, il welfare state di partito, l’espansione delle mafie. Tutto prevedibilissimo, ma non da chi doveva farlo; e che magari poi ha speculato al ribasso sui derivati costruiti per garantire i debiti brasiliani, che crescevano quanto aumentava la voracità della classe politica. È stato in quel contesto di irragionevole euforia per la crescita del PIL che il Brasile ha avuto l’assegnazione della coppa del mondo di calcio 2014 da parte della FIFA e delle olimpiadi di Rio che si sono aperte in questi giorni. Ma cosa succede con l’economia, quando arrivano le olimpiadi in un Paese?
Normalmente, com’è facile immaginare, aumentano i mini-lavori temporanei, si arricchiscono i costruttori di immobili, crescono gli investimenti esteri e, soprattutto, cresce il numero dei turisti, sportivi o meno. Tutti benefici temporanei, perché l’immobiliare è sempre strutturalmente sovradimensionato rispetto alle necessità post-olimpioniche. Gli studi da parte degli economisti del settore sportivo hanno prospettato, per Rio, un moltiplicatore degli investimenti di 4,26, ovvero un dollaro ne genererebbe 3,26 in un quinquennio, il che tende a ripetersi per i cinque anni successivi. Quindi, dati i costi ufficiali dei giochi in Brasile, abbiamo una previsione, fino al 2027, di 51,1 miliardi di Usd generati dalle spese sportive.
I moltiplicatori sono largamente privi di fondamento empirico ma l’esperienza, finora, ci dice che il rendimento delle olimpiadi è, in media, di meno di 10 miliardi di usd per ogni evento. Finora le spese di Brasilia per i suoi giochi sono state, sempre vedendo i dati ufficiali, di 16,6 miliardi di usd, e possiamo calcolare un ulteriore 15% di tangenti non deducibili dai bilanci. Aumentano poi le tasse, che vengono spese per eventi che durano lo spazio di una notte, e aumenta il valore immobiliare delle aree, con le immaginabili ulteriori difficoltà in un paese dove il 52% delle favelas non risulta nemmeno nelle carte comunali.
Il rendimento medio degli investimenti privati, garantito dalle elargizioni del Comitato Olimpico e dai finanziamenti pubblici del Paese ospitante, è per le olimpiadi più recenti di circa il 9,2% netto, un buon affare. Ma i costi a lungo termine rimangono sulla gobba degli Stati. E qui bisogna stare molto attenti. Infatti almeno un quarto del debito greco attuale è stato generato dalle spese per Atene 2004. A Sydney poi, ospite dei giochi nel 2000, i costi per il mantenimento degli stadi e delle strutture sportive, ovviamente oggi inutilizzate, porta via ancor oggi 40 milioni di usd l’anno.
Barcellona 1992 è stato l’unico successo finanziario e organizzativo olimpionico contemporaneo, messo in piedi peraltro da quel vecchio volpone franchista di Samaranch. Le chiavi dell’operazione catalana sono state il mix ben gestito di investimenti tra pubblico e privato, la gestione ampia e consensuale delle opere e dei fondi, la durata programmata delle infrastrutture olimpiche. E soprattutto, la spesa diretta per le infrastrutture cittadine che rimangono, le strade, gli aeroporti, i trasporti pubblici, i servizi.
Barcellona è costata in tutto 195,594 milioni di pesetas, 16,78 miliardi di Usd del 2000, spesa che ha generato un surplus quasi immediato di 3 milioni di Usd. Il rendimento è stato del 7,52 % sulle spese previste, ma la parte del leone nei guadagni è stata quella derivante dai diritti televisivi e dalle sponsorship. Circa il 38% delle strutture immobiliari è stato poi costruito, a Barcellona, dai privati.
A Rio, invece, l’Autorità Pubblica Olimpica ha avuto la disponibilità per allocare 15 milioni di usd per le infrastrutture, mentre gli investimenti turistici dovrebbero coprire una previsione di un milione di visitatori, mentre la capacità di ricezione di Rio è oggi di 52.000 ospiti. I fondi da gestire sono stati per il 25% concessi dallo stato brasiliano e dalle amministrazioni locali, il 10% dalle grandi aziende globali storicamente interessate all’evento (Coca Cola, etc.) e il costo della sicurezza vale, per le olimpiadi brasiliane, il 12% di tutto il budget previsto.
Il governatore dello Stato di Rio ha però già dichiarato, il 17 giugno scorso, lo stato di emergenza economica determinatosi dalle spese per le olimpiadi, mentre il governo centrale è ormai al limite del default.
Le olimpiadi, quindi, fanno bene alle economie già stabili e ben organizzate e gestite, come quella catalana, ma creano le premesse per il crack finale nei Paesi già destinati alla crisi fiscale e della spesa pubblica. Da meditare per Roma.