21 Novembre 2024
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Daniela Toschi- Bianca Stefania Fedi, Surkafkiano. L’ultimo processo, Youcanprint Self-Publishing 2016, pag. 140, e 12,00

Premesso che Franz Kafka è nato a Praga, sotto l’impero Austro Ungarico nel 1883 ed è morto nel 1924, il libro di Daniela Toschi e Bianca Maria Fedi, Surkafkiano. L’ultimo processo, è la prova di una fervida capacità creativa, insieme ad una profonda competenza professionale. L’ultimo processo, infatti, vede Kafka come imputato, in un tribunale dove l’accusa tende a dimostrare la sua infermità mentale, vuole un accertamento sulle sue capacità di intendere e di volere e conseguentemente dichiarare socialmente pericolose le sue opere. Siamo in un lontanissimo anno 5777, ma su questa data potrebbero sorgere interrogativi.

Questa perizia tecnica è affidata al CTU, la psichiatra Tosca Amadei, che prepara una patografia, “una specie di autopsia psichiatrica” che riguarda in genere “personaggi illustri, artisti soprattutto, che si suppone fossero affetti da qualche disturbo mentale”. Lei lo vorrebbe salvare dalla crudeltà degli accusatori e teme il verdetto del giudice supremo, certa Salomona Bonaparte.

Così al lettore vengono offerte la vita, le opere e il pensiero di Kafka, di cui le autrici mostrano di essere grandi esperte, in un percorso di grande interesse. Nel lavoro Tosca viene infatti supportata da una amica germanista, Bianca Chiah, che la aiuta a chiarire meglio il significato di alcune parole, e brani della relazione psichiatrica si alternano alle loro riflessioni ed a scambi di idee. Tanto Tosca è lineare e chiara nel lavoro che deve redigere, quanto Bianca è complessa, intellettuale e volutamente divagante. Quasi una complicazione. Ma il contrasto di stile e di pensiero, anche se inizialmente può apparire destabilizzante, va a favore dell’insieme e conferma la profonda conoscenza della tematica: Kafka appare nella grandezza delle sue intuizioni, nella profonda analisi della condizione umana, nella capacità di vedere all’interno ed all’esterno di sé, nella sua angoscia che rispecchiava quella del mondo, nella assoluta mancanza di fiducia nella legge quale strumento di protezione e di uguaglianza.

Nel processo non mancano i fantasmi, infatti, agli occhi di una Tosca esterrefatta, Kafka si materializza in fondo all’aula del tribunale: “L’accusato, proprio lui, era presente. Era seduto da solo, senza avvocati al suo fianco. Si vedeva a malapena, così sottile, quasi evanescente, vestito di nero”. Tosca si rapporta con lui come con un vivente, l’unico rammarico che le rimane è quello di non aver potuto stabilire il colore dei suoi occhi.

Fantasma che aiuta nella conoscenza della persona di Kafka è una donna da lui amata, Milena Jesenskà, di cui appare la figura spettrale, priva tuttavia della consapevolezza del destino che l’aveva travolta in un campo di concentramento.

Realtà -la vita, le opere, la famiglia, il lavoro, la malattia, le relazioni umane e affettive di Kafka- e sogno si alternano, si fondono, si confondono. Ma non sta solo in questo la capacità creativa della Toschi e della Fedi: la psichiatra lavora in un ambiente controllato e protetto, un aquarium -come tutti gli altri, del resto- ; chi le ha ordinato il lavoro può addirittura leggere i suoi pensieri, interfacciarsi con lei e cercare di condizionarla tramite un megaschermo a parete, controllo a cui Tosca deve cercare di sfuggire. Ciò che avviene fuori da quell’ambiente è poco noto, si vedono solo fuochi divampare di notte. Questo acquario gigante preserva dagli orrori del mondo esterno, quelli che la gente non riesce più a tollerare. Per la serenità di ognuno rimane soggettiva la scelta dei fondali marini, ma il virtuale non esime dall’obbligo di nutrire regolarmente i pesci.

Consapevole del sistema di controllo sociale di cui fa parte, nella sua sfida al Potere ed alla falsa idea di Giustizia, Tosca deve attingere a tutta la sua competenze linguistiche e professionali per proteggere Kafka, non farlo dichiarare infermo mentale, salvare le sua opere ed ingannare quello stesso Potere. Ma senza inganno, mettendo gli accusatori in condizione di condividere pienamente i risultati dell’analisi psichiatrica. Grazie alla parola ed alla capacità di “conservare l’intelletto che sereno ripartisce”.

Merito delle due scrittrici è quello di far riflettere sulla immutabilità della Storia e dei costumi dell’uomo, sul  contrasto tra essere e apparire, sull’ipocrisia, sui giochi sporchi del Potere che si consolida e insuperbisce alle spalle dell’uomo comune. Con un pessimismo trasversale sul destino del genere umano, la cui impossibilità di gestire se stesso potrebbe portare a scenari come questo, dove l’individuo è manovrato da una volontà superiore, dove la sua volontà e la sua libertà sono azzerate. Ma si rimane sempre dentro alle opere di Kafka.

 

 

 

 

 

Marisa Cecchetti

Marisa Cecchetti vive a Lucca. Insegnante di Lettere, ha collaborato a varie riviste e testate culturali. Tra le sue ultime pubblicazioni i racconti Maschile femminile plurale (Giovane Holden 2012), il romanzo Il fossato (Giovane Holden 2014), la silloge Come di solo andata (Il Foglio 2013). Ha tradotto poesie di Barolong Seboni pubblicate da LietoColle (2010): Nell’aria inquieta del Kalahari.