I vizi diabolici di zia Democrazia
La frode elettorale è sempre dietro l’angolo. Anzi (come ho già scritto qui su alleo.it, in merito alle ultime elezioni austriache) è un business in rapida crescita. La democrazia, zia Demo per l’esattezza, è una vecchia furbona e, come spesso accade ai vecchietti, ha una scarsa considerazione del Diritto e perfino dei Dieci Comandamenti. Tanto moriranno presto, i vecchi, la sanzione non ha quindi mai il suo sano effetto preventivo.
In India, per esempio, come negli USA, le elezioni sono organizzate tramite gli EVM, le macchine elettorali che, laggiù, sono gestite e prodotte da due aziende, entrambe pubbliche. Sempre nella democratica India (dove avrebbero voluto dare la pena di morte ai nostri due fucilieri di Marina) i casi di corruzione politica segnalati sono stati, dal 2010 al 2012, ben 1451, tutti regolarmente descritti secondo le norme del Corruption Act indiano del 1988.
L’elenco delle elezioni “gestite” è peraltro lunghissimo, si va dalla votazione per il governatore di New York del 1793, con John Jay che ha più voti di Clinton, (i nomi ritornano, come i fantasmi) ma viene escluso a favore del suddetto George Clinton (nel nome è la cosa, avrebbero detto i logici francescani di Oxford nel 1200). Non ha quindi tutti i torti Trump a predire per sé una manipolazione elettorale a favore dell’ultima Clinton, degna erede del suo omonimo del settecento. A meno che ce la faccia a finire la sua campagna elettorale, con i postumi dell’ictus cerebrale di tre anni fa e la continua somministrazione di Diazepam da parte della sua guardia del corpo del Secret Service. È comunque bene aggiungere che, negli USA, il “servizio segreto” vero e proprio è solo quello che fa la scorta al Presidente, ai suoi familiari e ai candidati alla carica suprema. È il sogno dei politici europei, trasformare un Servizio in una banale scorta.
Ma torniamo alle frodi elettorali. Finora ne abbiamo contate e accertate ben 133, comprese le elezioni presidenziali in USA nel 2000 e nel 2004, e quelle in Gran Bretagna del 2001 e del 2005. Non stiamo nemmeno a enumerare i dirty tricks greci, serbi, messicani, colombiani e via andare. Seth Conrad Rich, il recentissimo gestore dei dati per le primarie democratiche nordamericane, è morto ammazzato all’inizio di questo luglio, ma ci sono studi recentissimi della Stanford University sulle election frauds statunitensi sia in campo democratico che in quello repubblicano, senza dimenticare infine la pressione degli investitori sui due candidati che è tale e così ricca che nessuno vuol perdere soldi su un cavallo zoppo. E allora si usa tantissima pubblicità per rincoglionire ulteriormente le masse, oltre all’utilizzazione di perfetti ma pagatissimi idioti, ovvero i cosiddetti spin doctor, come quel tizio arruolato da Matteo Renzi che gli ha consigliato di “non personalizzare” il referendum sulla riforma del Senato o quell’altro, più fesso ancora, che consigliò a Mario Monti di “adottare” un barboncino bianco durante una trasmissione televisiva. Queste scoperte dell’acqua calda, o di qualche altra cosa, sono profumatamente pagate dal contribuente, che peraltro paga anche la sovrana impreparazione della “nuova politica”, quella raccolta tra le vecchie carampane accademiche o tra i giovanissimi frequentatori dei bar nella provincia fiorentina.
Ma torniamo a zia Demo e ai suoi trucchi: negli USA, le voting machines (ma non possono usare la vecchia matita copiativa?) hanno un software che è un segreto industriale (non di Stato, ma dell’azienda che lo produce – quindi vatti a fidare) mentre i responsabili del seggio non hanno nessun chip per testare la macchina che risultasse falsata. Chi deve verificare la voting machine è sempre un’impresa privata che non risponde allo Stato sulla gestione e la funzionalità delle macchine elettorali. Chi ha “sbagliato” il voto può solo chiamare un numero verde, spesso inattivo, che risponde sempre a un’altra impresa privata e non ha nessun obbligo di trasmissione dei suoi dati all’autorità pubblica. È più o meno lo stesso meccanismo che sovrintende alle slot machines nei casinò di Las Vegas.
In 43 dei 50 stati nordamericani si usano, peraltro, macchine elettorali vecchie di almeno 10 anni, con sistemi di sicurezza informatica facilissimi da hackerare. Ma, anche negli Stati che hanno a disposizione macchine recenti nessuno ne verifica il funzionamento e l’affidabilità. Il sistema di hackeraggio delle macchine della Diebold è (come affermano alcuni docenti di informatica statunitensi) “nell’aria”, e bastano pochi secondi per inserirsi nelle reti elettorali con un virus ad hoc. Nel 2004, Clint Curtis ha testimoniato sotto giuramento che ha manipolato, a distanza, moltissime voting machines, per non parlare anche degli exit polls, manovrati ben oltre il normale margine di errore, per motivi evidentemente pubblicitari. A Chicago, nelle ultime primarie democratiche, sono stati espunti molti voti per Sanders mentre sono stati aggiunti altri voti per la Clinton, moltiplicati poi da oltre 500 macchine elettorali operanti sul campo.
Ecco, è questa la situazione. Questa è la democrazia. Fatevene una ragione.