Quando i camion travolgono i bambini
Qualche giorno fa, un camionista slovacco ha falcidiato una famiglia di immigrati marocchini, nei pressi di Milano, uccidendo i genitori e ferendo gravemente i tre figli piccoli. L’investitore, ubriaco fradicio, è stato arrestato dopo cinquanta chilometri nei pressi di un autogrill, dove si era fermato per bere ancora. Alla notizia della strage pare abbia avuto un gesto di compiacimento, accentuato alla notizia che le vittime erano marocchine. Torno su questa vicenda, perchè è stata archiviata troppo in fretta, colpevolmente, forse proprio perchè lì dentro si accumulano colpe e limiti di questo paese, dell’Europa e del mondo globalizzato. Quel camionista fuori controllo ci chiama in causa come paese, intanto perchè il ripetersi di questi episodi confermano come i controlli sulle strade siano gravemente insufficienti. E’ più facile prendere una multa se parcheggi male il motorino in città, che se guidi un Tir da ubriaco in autostrada. L’altra grande colpa, tutta nostra, è di un paese che ha fatto troppo poco per limitare il trasposto di merci su gomma (anche se ne parliamo da decenni). Basta percorrere l’Autosole, dove hai davvero la percezione della saturazione fisica, dovendo affiancare file chilometriche -un vero e proprio muro di acciaio e gomma- di camion attaccati l’uno all’altro, che, spesso e volentieri, sorpassano d’improvviso, fanno manovre incaute nella ricerca di un minuto di tempo da risparmiare. Del resto, il rogo del treno merci di Viareggio –che andrà a sentenza a giorni- è la prova più terribile di quanto scarsa sia l’attenzione verso modalità diverse dal trasporto su gomma per la gestione del traffico di merci. Siccome, proprio in queste ore, si torna a parlare di Ponte sullo Stretto, la domanda è se quella montagna di soldi non sarebbe meglio spenderla per spostare merci dalla gomma alle ferrovie ed alla vie d’acqua. E, se Ponte deve essere, allora perché non un ponte esclusivamente ferroviario?
In merito all’Europa, la vicenda di quel camionista ubriaco conferma quanto incauta e sbagliata sia stata la scelta di allargarla ad est, senza tenere conto delle differenze di standard nei modelli sociali, economici ed organizzativi fra le diverse aree del continente. Così i lavoratori di quei paesi sono diventati la merce “pregiata”, ricercata, sollecitata, per chi vuole manodopera a costi stracciati. Contadini, disoccupati, ex operai, senza alcuna specifica formazione e professionalità, sono diventati il serbatoio da cui le agenzie specializzate attingono camionisti a cinquecento euro il mese per attraversare l’intera Europa, di corsa e senza garanzie. Che, poi, i paesi dell’est siano anche i più oltranzisti nell’impedire una politica razionale verso l’immigrazione dai paesi del sud del Mediterraneo (il gesto dell’autista assassino nei confronti delle vittime marocchine è emblematico), la dice lunga su quanto la classe dirigente di questa Europa, i paesi guida – Italia, Germani, Francia in testa-, sia stata e sia inadeguata a gestire una comunità che evidentemente non è ancora davvero costituita, tanto meno cementata su valori sociali e solidali condivisi. E credo che bisognerebbe prenderne atto, costituendo ovvero istituzionalizzando davvero un’Europa a due velocità (come da tempo propone, tra gli altri, l’ex Presidente del Consiglio, Enrico Letta).
In ultimo, quell’evento tragico dovrebbe costringere politici ed imprenditori a chiedersi fino a che punto sia tollerabile una globalizzazione che, sul piano dello sviluppo economico, sembra fare del ribasso esasperato del costo del lavoro un punto centrale, la vera discriminante. Sono contrario, in linea di principio, a mura e dazi, così come credo che la globalizzazione abbia avuto ed abbia innegabili meriti nella crescita del benessere nel mondo; ma mi chiedo anche se, prendendo atto della realtà, non si debbano stabilire limiti e standard sociali ben più elevati (si chiamino poi come si vuole) come condizioni invalicabili per l’accesso al libero mercato globale. A proposito della esasperata globalizzazione finanziaria, con gli effetti negativi planetari prodotti e che ancora oggi paghiamo duramente, l’economista premio Nobel, James Tobin, ebbe a dichiarare che quei mercati eccessivamente efficienti andavano quanto meno rallentati, gettando un po’ di sabbia nei loro ben oleati ingranaggi. Ecco, credo che dovremo cominciare a gettare sabbia nella globalizzazione per difendere la dignità del lavoro e quindi della vita.