19 Dicembre 2024
Naked

I bambini stanno bene

L’educazione infantile è uno dei temi prediletti dai più, in ogni sua sfumatura. Genitori, persone che “odiano i bambini e mai ne avranno”, giornalisti, opinionisti, medici che lavorano nella infinitesima branca di nicchia e chi più ne ha più ne metta. Oggetto di discussione periodica è l’avvento dei “gender toys”, ovvero di giochi che esasperano le differenze tra i due sessi. A partire dal colore: rosa per la bimba e azzurro per i maschietti.
Per contrastare questo fenomeno sono nate diverse iniziative, come quella della LEGO, che ha inserito tra i suoi personaggi anche delle donne legate al mondo STEM ( acronimo che sta per Science, Technology, Engineering and Mathematics). Un altro esempio meno celebre è Wendy Tzao, artista canadese. Wendy ha riconvertito le bamboline Bratz in figure che hanno dato un contributo importante alla società come il premio Nobel per la Pace Malala Yousafzai e l’astronauta Roberta Bondar.

Sono senza dubbio iniziative encomiabili dal punto di vista educativo ma sono davvero necessarie per convincere una bambina che le possibilità professionali per lei possono essere infinite? Tralasciando l’opinione di certi miei coetanei, che quando entrano nell’argomento introducono la propria visione della questione con “ai miei tempi”, come se di colpo gli fosse venuta l’artrosi, comincerò col dire che probabilmente chi critica ha dimenticato che cosa significa essere bambini.
Certamente, anche gli anni ‘90 sono stati popolati da giocattoli inquietanti, come le svariate tipologie di bambole capaci di parlare e muoversi in autonomia una volta inserite le batterie. Io stessa ne ho avuta una. Si trattava di una diavoleria della seconda metà degli anni ‘90 che si lamentava se la si lasciava distesa e la sua espressione diventava un orribile maschera di pianto. Traumatico. E il fatto che quell’oggetto mi piacesse e non me ne separassi mai lo è ancora di più.

Tornando sul tema, tutto sta nel modo in cui i bambini usano lo strumento.
Prendiamo la stigmatizzatissima Barbie: per i tuttologi odierni le più piccole, vedendola esposta nelle vetrine dei negozi di giocattoli più rinomati, desiderano conformarsi al canone estetico che questa bambola suggerisce. Niente di più sbagliato. Ricordo bene i momenti di svago e per me, come per molte altre bambine, la Barbie aveva la funzione di passepartout e permetteva a chi la utilizzava per giocare di assumere sempre un ruolo e un aspetto diverso. Lunedì fingevamo di essere delle abilissime veterinarie e il giorno dopo avevamo la possibilità di trasformarci in donne in affari esperte del settore finanziario. Inoltre attraverso questo giocattolo potevamo affrontare temi “tabù” per i grandi, come il sesso e l’omosessualità. Non è certo un segreto che i bambini facciano passeggiare serenamente due bambole mano nella mano senza porsi troppe domande. “Queste bambole si amano, perchè non dovrebbero stare assieme?”. Si poteva anche trattare temi sociali: chi non ha mai finto che la propria Barbie fosse caduta in povertà?
Simile considerazione va fatta per le riproduzioni di cucine a misura di bambino, che 20 anni fa erano pubblicizzatissime e desideratissime da tanti miei coetanei. Ho partecipato anche a quel gioco assieme a bambini e bambine indistintamente e posso affermare di non aver mai sentito dire le femminucce gridare alla controparte maschile “questo è solo per donne, vattene”. Tantomeno i bambini hanno mai ribattuto che “pulire è da femmine”, cantilena sempre in voga del maschio alfa italiano.

Il succo è questo. Oggigiorno ci si preoccupa sempre di più della salute dei bambini e della loro educazione, di controllare giochi e comportamento. Il risultato è una generazione di genitori soffocanti come una cuffia di lana troppo stretta e di un cappotto abbottonato oltre al limite della bocca. Posso assicurarvi che i bambini stanno bene e che anzi, starebbero ancora meglio se al posto di sottoporli al vaglio della psicologia lasciaste loro la libertà di sperimentare e di essere. Buttate via i libri dell’ultimo esperto e giocate con loro senza giudicare, sgridare o castigare e scoprirete la riproduzione di una piccola società a misura di bambino. Provare per credere.

Laura Boopy Bartoli

Nata a Udine nel 1989. Friulana di nascita, ma con origini toscane, pugliesi e siciliane. Dopo il diploma all’Istituto artistico, ha proseguito gli studi scegliendo l’indirizzo in Scienze della comunicazione.