Trump on the road
Da lupo ad agnello. Ecco Donald Trump, che prima mandava affanculo l’avversaria e le prometteva la galera, e oggi dice – e come potrebbe fare altrimenti – che il suo “governo sarà al servizio della gente, per ricostruire il paese e rinnovare il sogno americano, per un futuro migliore”.
Il futuro migliore è difficile da trovare in questo Mondo, in questa attualità globale. Lo sanno bene i tanti americani che hanno votato per il nuovo presidente: sono impauriti dall’assenza di lavoro e dalla povertà crescente, sono insofferenti alla presenza di minoranze in crescita come quella degli ispanici, sono arrabbiati con chi siede accanto agli speculatori di Wall Street. Non è una battaglia per il futuro la loro. È una battaglia per il presente, una battaglia per il giorno dopo, per mettere insieme il pranzo con la cena.
E quello del miliardario Trump, con tutte le sue stravaganze e il suo sperpero di denaro, la sua arroganza verso le donne e il disprezzo delle regole sociali, è un viaggio che potrebbe mostrare qualche sorpresa positiva, più per noi che per loro. Anche se John Nichols su The Nation, citando un’intervista fatta all’ex speaker della Camera dei Rappresentanti americana, il repubblicano Newt Gingrich, scrive che “non si avrà con la presidenza Trump un’immagine rosea di pace, prosperità e unità nazionale. All’opposto ci saranno molte più divisioni”.
Ma è proprio sulle divisioni che Trump ha vinto. È proprio sulla paura e sulla rabbia che si è giocata e si giocherà la partita, tutta interna ai confini statunitensi, tra la Casa Bianca e l’establishment imprenditoriale e finanziario, tra il popolo e i poteri economici. Trump è, paradossalmente, il Roosevelt senza stoffa e senza cultura di questa crisi occidentale.
E chi l’ha votato non è il viaggiatore per diletto del sogno americano del dopoguerra, disincantato e individualista alla Jack Kerouac di Sulla Strada, ma piuttosto il viaggiatore per necessità dei primi decenni del Novecento, alla Jack London di La Strada. Gli elettori di Trump sono come hobos novecenteschi usciti da un romanzo di Steinbeck, ma ormai senza più nessuna speranza che muovendosi sulle strade d’America, da una città a un’altra, verso la Nuova Frontiera dell’Ovest, si possa risolvere qualcosa. Siamo di fronte a un tipo di elettore di Trump simile a un cecchino nascosto dentro casa che mira a difendere quel poco o pochissimo che gli resta, e pronto a sparare a chiunque si avvicini e non sia suo stretto simile.
Sarà un viaggio lungo e duro quello di questo uomo piccolo borghese americano nei prossimi anni. Un tempo futuro in cui il lavoro continuerà a mancare, in cui le macchine sostituiranno sempre più l’uomo, in cui l’occupazione per il salario sarà sempre più infima e destinata a soccombere alla tecnologia.
Sono lontani gli anni in cui al cavallo l’America aveva sostituito l’automobile e l’economia spartiva stipendi per la classe media. Siamo nel tempo in cui pare facile morire di inedia seduti davanti allo schermo di un computer, senza più occupazioni da svolgere. Trump non lo sa che cosa significa: lui ha sempre viaggiato con l’aereo privato.