15 Novembre 2024
Sun

Roberto Veracini, VIA DE’ LABERINTI, La Vita Felice, Milano 2016, euro 13,00

Ci sono luoghi dove torno sempre volentieri, ma dove non abiterei mai. A Volterra c’è troppa aria, c’è troppo cielo da sorreggere, quando appena dopo qualche passo ti affacci da una muraglia o da un terrazzamento verso il mare con tutto quel rosa delle nuvole al tramonto, oppure verso le colline intravvedi i fumi caldi della geotermia. C’è troppa poca luce nei vicoli stretti e troppa macerazione autunnale anche quando d’estate folgora il solleone.

Io non so ancora perché Roberto Veracini continui ad abitare qui. Perché si ostini a percorrere, infaticabile, le solite vie di sempre, in un’eternazione dell’adolescenza. Sì, il luogo natale esercita sempre un’attrazione forte sulle persone, ma nel suo caso non basta questo a giustificarne la presenza sul colle volterrano.

La sua nuova raccolta di poesie mi ha fatto capire meglio. Ho capito che Veracini è un soldato. Uno di quei soldati pazzi del Vietnam che sono rimasti nella giungla a combattere per anni, anche quando la guerra era finita. Ho capito che Veracini è una sentinella. Una di quelle sentinelle disciplinate che restano immobili per il loro turno di guardia, perché nonostante tutto c’è ancora qualcosa da sorvegliare. Ho capito che Veracini è un pastore di anime. Uno di quei pastori che predicano anche se tutto intorno a loro ignora di cosa stiano parlando.

Veracini è riconoscibile. La sua poesia è riconoscibile. È proprio sua e di nessun altro. Si è piantato in questa città di pietre e aria e la difende. Ne difende le anime, ne difende un’immagine che solo lui sa riconoscere, che solo lui sa attraversare. E non la squaderna prosaicamente ai quattro venti, a quei testardi venti che sconquassano Volterra dentro alle sue nebbie invernali. Lui accartoccia pensieri e sentimenti. Li filtra e li pulisce. Poi ce li restituisce nella sagoma brillante del diamante, della poesia. Come nella lirica “Neve metafisica”, vero metro di paragone di tutto il libro; paradigma di questa nuova raccolta “Via de’ Laberinti”: “Vorrà pur dire qualcosa/questa neve alta, lenta/metafisica, abbandonata/sugli alberi, attaccata/agli uomini, riluttante/a ogni intesa, assolutamente/inutile eppure imprescindibile/ come i sogni o i ricordi”.

Ma in questo nuovo libro Veracini sorseggia un poco anche Montale, più per diletto linguistico corsivo che per consistenza letteraria. Quando fa il verso al rondone montaliano, col suo piccione “sulla soglia che tremava tremava”. Tuttavia il poeta sa riconoscere le età della vita e in questa silloge c’è meno rassicurazione, minore consolazione, perché come spiega in “Mezza luce”: “è rimasto davvero poco/della giovinezza”. E poi raccoglie, nel finale (versi che mi ricordano una mia “deposizione”), una storia comune di questo avamposto verso le lapidi serene della vita che muta in pietra: “Veniamo da lì, è questa/la nostra storia, stampata/sui giorni e riscritta/nell’aria”.