Donne che odiano le donne
In questi giorni l’università di Torino è giunta alle luci della ribalta a causa di un professore, docente di diritto del lavoro, che avrebbe ricattato una ragazza per ottenere incontri sessuali e foto intime. Certo, i rapporti “particolari” tra studenti ed accademici non sono inusuali. Spesso passeggiando per i corridoi della mia facoltà ho sentito volare rumors su presunte relazioni , che comportavano favoreggiamenti e in certi casi anche l’acquisizione di una cattedra. Nel caso specifico, però, si tratta di molestia sessuale e non è in discussione che ci sia una vittima che ha rifiutato le proposte dell’uomo.
Mi aggiorno quotidianamente sulla cronaca utilizzando i social, ovvero Facebook e Twitter. Lo faccio soprattutto per questione di comodità visto che utilizzo il computer 8 ore al giorno. Tutte le mattine mi riprometto di aprire i link e di informarmi unicamente sugli avvenimenti, senza leggere i relativi commenti postati sul canale social. Inutile a dirsi, ci ricasco sempre. Conscia del fatto che ormai questi mezzi (Facebook in primis) siano il luogo delle chiacchiere da bar, ho sempre un barlume di speranza di trovare un singolo articolo in cui i commentatori non facciano a pezzi le vittime o non si offendano tra di loro.
Anche questa volta sono caduta in tentazione e ho “scrollato” in cerca di una singola esternazione sensata. Naturalmente la maggior parte di questi utenti non hanno dedicato nemmeno un minuto del loro tempo a leggere il breve articolo pubblicato dall’ANSA e hanno dato per scontato che la ragazza avesse accettato il ricatto del professore. La studentessa si è trasformata nel giro di pochi secondi nel capro espiatorio da utilizzare per purificarsi dalle proprie colpe. Hai litigato con tua moglie? Non ti preoccupare se non puoi sfogarti con lei, scrivine di tutte colori sulla studentessa, il bersaglio da lapidare di oggi! Perchè di questo si tratta, di una lapidazione pubblica. Le uniche cose che cambiano sono le modalità e gli strumenti: al posto di un assembramento fisico di persone e di sassi, un gruppo di utenti che si incontra su un canale di comunicazione online e dei commenti. I morti, però, ci sono, basti pensare a Tiziana Cantone, ultima vittima italiana fatta dai social network. Nel caso specifico dell’Università di Torino, appurato dal “popolo Facebook” che la ragazza fosse, a loro giudizio, colpevole, i commentatori si sono dilettati nel binomio “vera Donna” e “le altre”. Come spesso accade, tristemente le visitatrici di sesso femminile si sono affermate tra le prime a fare questo tipo di distinzione, come a dire “ehi, io sono io, sono diversa, pura, ammiratemi”. Posto che i social network non sono il luogo in cui cercare attenzioni sane, soprattutto quando esse vengono da sconosciuti, vorrei focalizzarmi sulla divisione “Io” e “le altre”. Affermare di essere diverse non è una frase-simbolo che magicamente vi separa dal gruppo ma vi fa apparire come il corvo che vuole abbellirsi con le piume del pavone. Siete ammiratrici dell’uomo alfa, quello che vi copre di botte e che appena rincasati siedono sul divano emettono un profondo rutto e si addormentano dopo aver chiesto “che cosa c’è di cena?” Il tempo delle martiri è finito nel medioevo e continuare a recitare la parte non vi renderà più nobili di chi desidera affermarsi professionalmente e/o di rivendicare il diritto di libertà sessuale. La “donna con la D maiuscola”, di cui si dibatte ampiamente sui social, non esiste. Esistono le scelte. Sono passati quasi cinquant’anni dalle sessantottine. Sono state fatte grandi conquiste dal punto di vista legale eppure il messaggio più importante sembra ancora non essere giunto alla massa. Il fatto che su mezzi di comunicazione fondamentali per il mondo 2.0 come Facebook si diffondano foto di ragazzine che reggono cartelli con scritto “I don’t need feminism because” ne è la prova. Non rimane che continuare a fare attività di sensibilizzazione sociale per eradicare, come diceva Jovanotti, “quella falsa divisione fra puttane e spose”.