Buon viaggio
Il periodo natalizio segna per coloro che lavorano o studiano lontani da casa l’inevitabile rientro in terra natia. Il soggiorno è più o meno breve, solitamente in proporzione a quanto si è distanti dal proprio luogo d’origine, quanto spesso si torna per far visita ai propri parenti e alla tipologia di professione o studi. Non mi soffermerò sui chili in più che si acquista pranzando con cugini di primo grado, assaggiando il dolce di zia Concetta o assaporando “l’ultimo” liquore che il trisavolo ha fatto con le proprie mani. Mi interessa molto di più, invece, il viaggio. Che sia quello di andata o di ritorno fa poca differenza.
I più solitari scelgono di farlo in macchina, con gli occhi arrossati puntati sempre sull’autostrada, quasi senza fare sosta in autogrill. Se accompagnati, chiedono a coloro che sono presenti nell’abitacolo di fare meno rumore possibile. Sì, forse il viaggio in solitaria è un’immagine po’ triste, ma fate bene a scegliere il mezzo privato.
Per quanto ami i mezzi pubblici, in particolare treno e aereo, a volte viaggiare con sconosciuti si può rivelare un vero e proprio incubo. A partire dal cambio di mezzo, quando è necessario effettuarlo. Prendiamo in esame uno spostamento tipo: per quanto mi riguarda solitamente apro e chiudo circa un centinaio di volte la zip della borsa per controllare di aver portato tutti i biglietti e i documenti necessari con me. Nel caso in cui foste uomini naturalmente niente borsa. Vi immagino però sfilare e rinfilare i sopracitati biglietti dalla tasca interna della giacca con la frequenza di un tic nervoso.
La difficoltà principale è senza dubbio il bagaglio. Costantemente pesante, indipendentemente dalle dimensioni, solitamente preferisco tenerlo accanto alle ginocchia, perché se porlo sulla cappelliera è faticoso, per farlo scendere da quello spazio è necessario possedere un abbonamento in palestra. Sono una nota sollevatrice di biscotti, quindi meglio lasciarlo posato a terra. Il problema sorge dopo qualche centinaio di chilometri, quando l’immancabile “vecchietta” domanda, con voce flebile “posso sedermi accanto a lei?”. Inutile tentare di spiegare che lo spazio vitale è già ridotto all’osso e che ci sono molti altri sedili liberi posti poco più avanti nello stesso scompartimento, meglio accettare con un cenno della testa e un sorriso di plastica, spostare la valigia e ancora di più sulle ginocchia e soffrire in silenzio. Cambio di mezzo, tocca raccogliere il trolley, che fa sbilanciare inevitabilmente in avanti e immettersi ne corridoio, facendo slalom tra chi si è preparato con troppo anticipo e chi rischia di rifilare ai compagni di viaggio una gomitata nell’occhio infilando la giacca.
Finalmente è possibile far pausa per un caffè, scendo dal treno e cambio banchina. Faccio le scale con una certa impazienza e tenendo il bagaglio dietro alla schiena così da far fronte ai viaggiatori che salgono controcorrente. Piccolo consiglio, che voi saliate o scendiate: state su lato destro, vedrete che ne sarete tutti agevolati. Se sono abbastanza fortunata, oltre a barcollare per il peso, lo faccio perché qualche ragazzo sta tirando la valigia: si propone di aiutarmi con il peso in cambio di qualche spicciolo. Bevo il caffè seduta sul mio trolley. Sono solo abiti, quindi non c’è pericolo che si rompa alcunché. Alzo gli occhi per osservare il tabellone delle partenze ed è già tempo di salire sul secondo mezzo per ripetere il copione.
Probabilmente il mio racconto è troppo melodrammatico, ma abbiate pazienza, l’ultima volta mi è toccato assistere a manicure completa. E voi avete fatto buon viaggio?