Il rischio populista dell’antipopulismo.
In queste ore stiamo assistendo al dispiegarsi operativo ed inquietante del populismo di governo del Presidente degli USA, Donald Trump; il cui provvedimento ad oggi più preoccupante consiste nell’ordine esecutivo che impedisce lo sbarco in quel paese di cittadini provenienti da un gruppo di paesi musulmani (e non mi soffermo sulle motivazioni per cui se ne sono scelti solo alcuni). Le democrazie d’Europa stanno prendendo le distanze da quelle scelte, anche nel timore della saldatura con il populismo autoritario di Putin in Russia. Soprattutto temendo che quel “progetto” di governo fornisca alimento ai populismi che stanno attraversando l’Europa, come un tempo fu percorsa dai fantasmi dei comunismi e dei fascismi. Marine Le Pen, Matteo Salvini, Geert Wilders e Frauke Petry, pur con modi ed accenti diversi, fanno paura. Ma a chi fanno paura? La risposta a tale domanda non è banale, perchè dentro l’indignazione contro i populismi ci stanno mondi e realtà assai diverse: dalle grandi burocrazie europee (contro cui però tuonano un po’ tutti), ai grandi gruppi finanziari, alle borse, dagli speculatori alle èlite intellettuali, da pezzi (attenzione, “pezzi”) di popolo a coloro che sono contro la globalizzazione epperò allo stesso tempo (non si capisce con quanta coerenza) sono per la società aperta alle mobilità delle persone, fino a parti del mondo musulmano che, tuttavia, in gran parte, si è concretizzato in società chiuse ed oscurantiste, che mal tollerano la contaminazione e la libertà di circolazione di esseri umani ed idee. Proprio questo indistinto dissenso che si oppone a Trump, identificato come il simbolo planetario del populismo di governo, rischia di diventare incentivo ai populismi ed alle loro degenerazioni; fornisce argomenti e benzina per accendere il fuoco di nuovi muri ed imprevedibili contrapposizioni. Uscire da questa strettoia è certo complicato; così molti anti-populisti sembrano cercare la scorciatoia di quello che potremmo definire l’anti-populismo populista. Per chiarire questo ossimoro credo serva soffermarsi su che cosa si intende per populismo. Personalmente ho individuato tre o quattro caratteristiche ovvero peculiarità di quel dilagante fenomeno (che –non dimentichiamolo- è comunque l’effetto di una globalizzazione mal gestita ovvero per niente governata): la ricerca del rapporto diretto con il popolo (plebisciti, blog, streaming, social, linee dirette, ecc.), assumendo però su se stesso, sul leader, la interpretazione di quel sentire; la individuazione di un nemico (comunque variabile alla bisogna): oggi l’Europa, la globalizzazione, l’islam; l’allergia per ogni corpo intermedio che svolga una funzione di mediazione fra popolo e leadership; lo sprezzo ed il dileggio verso qualsiasi forma di critica verso il capo; la sostanziale insostituibilità della leadership in quanto “carismatica”. Tutte queste peculiarità del populismo sono tenute insieme da un approccio “culturale” che tende a banalizzare la realtà, senza compiere alcuno sforzo per coglierne la complicata struttura, riducendola invece a pochi canoni interpretativi possibilmente che stiano dentro un tweet; con una atavica passione per la velocità, nonché la frenesia decisionista come fine e non come mezzo. In fondo, però, la caratteristica essenziale dei populismi di ogni colore (anche quelli antipopulisti) è la sostanziale scarsa considerazione per il popolo; l’idea che, se gli elettori dissentono, sono loro a non aver capito e il leader populista -al massimo- hai sbagliato a comunicare. La sottovalutazione del corpo elettorale abbinata all’abile capacità di dire ciò che il popolo si aspetta e di elargire mirate concessioni. Il potere come pedagogia ed insegnamento; “guida” illuminata verso il futuro radioso. Il sogno prima del bisogno. Insomma, i populismi hanno la caratteristica di non stimare particolarmente la società civile a nome della quale dicono di voler governare, considerandola poco più che un contenitore da riempire, un pubblico da conquistare, un insieme di fan club da motivare e solleticare. Se queste caratteristiche del populismo sono veritiere è del tutto evidente che chi gli si oppone deve sforzarsi di non cadere dentro la trappola di farsi esso stesso populista, sposando quel rapporto leader-popolo-audience che del populismo è la sostanza. Pertanto, la differenza sostanziale tra populismo e governo razionale sta nella qualità della democrazia: fatica del consenso contro la facile demagogia del plebiscito. Ricordandoci con Shumpeter che “…nessuna leadership è assoluta. Il comando politico esercitato col metodo democratico è, anzi, meno assoluto di altre forme di leadership a causa dell’elemento di concorrenza che alla democrazia è essenziale…”.