Sbirri, lavoro, sud e “Masanielli”. Il collo di bottiglia.
Mentre scrivo questo post, sono da poco concluse le manifestazione di protesta contro le scritte che, a Locri, in Calabria (terra di ‘ndrangheta), hanno sbeffeggiato Don Ciotti, in prima fila nella lotta contro le mafie, definendolo sbirro (come fosse chissà quale colpa) e chiedendo meno sbirri e più lavoro. Giusto, giustissimo manifestare, però francamente andrei oltre l’indignazione e guarderei bene dentro quelle scritte, perchè -se le leggiamo con attenzione- traspare in filigrana, ma neanche troppo, un chiaro postulato, cioè che, in quelle terre, è possibile lavorare, quindi sopravvivere, soltanto se si opera fuori della legalità. Allora, se questo è il tema, ci dobbiamo anche chiedere perchè la stessa indignazione e rabbia (con riverbero nazionale) non le ascoltiamo, quando la politica e l’amministrazione di quella parte di paese sposano nei fatti quell’approccio. Quando il Governo della Regione Campania, faccio un esempio recente, propone una legge che sanerebbe settantamila abusi edilizi, giustificandoli con lo stato di necessità ovvero con il bisogno, non siamo forse dentro la stessa logica di chi, in nome del lavoro e della sopravvivenza, chiede meno sbirri cioè meno legalità? Qui sta la vera questione. Il problema di fondo del Sud, oggi come non mai, è un problema di classe dirigente, che certo è anche espressione di chi la sostiene e la vota, ma quell’argomento non può continuare ad essere l’alibi per cui allora ci si adatta, si galleggia, si posticipa la legalità a tempi migliori come fa, ad esempio, il Presidente della Sicilia, quando riconosce che i suoi corregionali evadono in massa i tiket sanitari, tuttavia lo fanno perchè sono poveri e, comunque, la Regione sta lavorando a colpire gli abusi, però ci vuole tempo e pazienza. E non vale l’argomento trito e ritrito della risorse che al Sud mancano. In un dettagliato servizio del Foglio, mesi fa, è stato evidenziato che, al 2014 (ultimi dati disponibili, però cambiati di poco), nelle regioni meridionali e insulari la spesa statale regionalizzata, in relazione al prodotto interno lordo regionale, varia tra il 16,97 per cento dell’Abruzzo e il 27,19 della Calabria; nelle regioni a Statuto ordinario del centro-nord, si va dal 6,28 per cento della Lombardia al 12,73 dell’Umbria. E’ vero che al sud esiste la criminalità organizzata ed è fortemente radicata, purtuttavia neanche questa “condizione” (che poi di politica si alimenta, in un perverso gioco di ruoli) può essere usata per assolvere la classe dirigente dalle proprie responsabilità. “…In giro per il sud, s’incontrano ottimi amministratori locali, attivisti politici coraggiosi, funzionari eccellenti e imprenditori coraggiosi. Sono però mosche bianche, perché il grosso della rappresentazione politica nel meridione ha finito per essere un coacervo di localismo, sindacalismo rivendicazionista, clientelismo e populismo a buon mercato…”. Scriveva (e condivido) l’editorialista del Foglio. Il procuratore Nicola Gratteri (da anni in prima fila nella lotta contro la ‘ndrangheta), giorni fa, ha dichiarato: “il dominio della ‘ndrangheta in Calabria è dato principalmente dall’elevato livello di organizzazione e oggi sposta il 20% dei voti che sono decisivi. Di conseguenza, la malavita organizzata nel suo essere organizzata costituisce la risposta più efficiente ed efficace rispetto ad una pubblica amministrazione colpevolmente mal gestita, quindi inefficiente e dilapidatrice di risorse preziose che si disperdono ben prima di aggredire i bisogni. La ‘ndrangheta è il primo partito in Calabria perché dà risposte che la politica non dà”. “Vent’anni fa – osservava ancora Gratteri – il mafioso andava dal politico a fare richieste, oggi il rapporto è capovolto. Sono i candidati politici che vanno a casa del capomafia a chiedere pacchetti di voti in cambio degli appalti”. Del resto, che nel meridione ci sia un problema di politici – oltre che di politiche- inadeguati, qualche settimana fa, lo ha scritto anche Roberto Saviano, attirandosi più di una critica, specialmente da sinistra, -comprensibilmente considerando che proprio il centrosinistra governa oggi buona parte del sud-; critiche deboli ovvero sostenute dal solito leitmotiv del sud che ha bisogno di risorse e di politiche; problema certo vero (che Saviano non nega), ma che non può essere affrontato senza un salto di qualità delle classe dirigenti, intese in senso lato, di quei territori. I partiti nazionali si sono illusi di poter gestire e contenere i fenomeni politici e sociali deteriori del sud, sfruttandoli a proprio vantaggio: da un lato, fanno comodo le caterve di preferenze che troppi personaggi discutibili sono capaci di raccogliere; dall’altro, i Masanielli dello “Stato ci deve dare” hanno sempre gioco facile. Se si volesse segnare una rottura concreta, al mezzogiorno servirebbe una politica che rifiuti i vecchi paradigmi e le logiche perverse, e che sia capace di dire ai cittadini la verità e non quello che molti di essi, troppo spesso, vogliono sentirsi dire. Altrimenti, davvero per molti cittadini, pur volenterosi, l’unica soluzione resta la fuga, che poi è da sempre il modo in cui molti affrontano i problemi del meridione come ebbe a scrivere, ancora nel 1912, il lucano Ettore Ciccotti in un articolo sull’emigrazione dal Sud, definendola come “fenomeno centrale della vita meridionale”; aggiungendo “…La mancanza della pressione di una popolazione numerosa, poi, […] toglie l’occasione, l’impulso e la forza a quella reazione contro l’ambiente arretrato che più di tutto potrebbero costringerlo a rinnovarsi. L’emigrazione funziona nel Mezzogiorno, in mancanza di salda organizzazione, come uno sciopero immenso, colossale. L’America, anzi, è l’Aventino di quei lavoratori”.