Papa Francesco come Celestino V?
Un altro gesto apparentemente marginale, tuttavia ancora una volta spiazzante, di Papa Francesco. Ha ordinato di aprire le lavanderie vaticane ai poveri. Così come aveva ordinato le docce per i senza tetto o come ha tuonato contro la Chiesa troppo incline ai beni terreni. Se è vero –come ha scritto Emmanuel Carrere- che la peculiarità della Chiesa cattolica sta proprio nel cercare di tornare alle radici, al “rivoluzionario” o “folle” messaggio delle prediche e delle azioni di Gesù, negli anni di peregrinazioni in Galilea, è altrettanto vero che Papa Francesco –anche da una parte della Curia romana- subisce la stessa condizione di diffidenza ed ostilità che è riservata ai folli. Del resto, ogni qual volta si esaltano come innovative le azioni di un Papa, che appare in verità impegnato a concretizzare il Vangelo, è del tutto evidente che si punta il dito su coloro che, prima di lui, da quella morale si sono allontanati. Sono costoro i primi ad essere spiazzati dall’ agire del Papa argentino. E non si può certo usare la vecchia tecnica comunista del cambio di fase, per cui il leader di turno trova comunque continuità nella discontinuità, richiamandosi al sempre utile materialismo storico. Papa Francesco entra “nel” Tempio, almeno ci prova ed insiste, delicatamente (non è uomo irruento) chiede che si allontanino i venditori ed i profanatori, recuperando senso e dimensione spirituale a quel luogo. Bergoglio non predica il Vangelo, ma lo pratica, e lo pratica nel suo vivere quotidiano: rifuggendo i Palazzi romani, mangiando alla mensa delle suore (che raccontano compare all’improvviso, all’ora di pranzo, nascondendosi dietro le colonne e facendo “busettete”), evitando eccessivi monili e sfarzosi segni del potere, aprendo continuamente il cuore e anche lo spazio agli ultimi. Però, come ricordò tempo fa un grande conoscitore del cristianesimo, Francesco è profondamente cristiano e allo stesso tempo geneticamente gesuita. Sta cioè pienamente dentro il mondo che lo circonda. Cerca anche di trovare una sintesi non dirompente con il potere temporale. Ed è in questa ricerca di sintesi fra sacro e profano che si comincia a manifestare la sua contraddizione di fondo (che poi è la contraddizione della Chiesa in tanta parte della sua storia, contraddizione che ne è stata pure la forza). Papa Francesco ha individuato nella terza guerra mondiale a pezzi il nemico contro cui concentrare le forze, perché lì dentro si manifestano e alimentano le sofferenze del mondo. Causa ed effetto delle ingiustizie planetarie. Quando arriva all’identificazione dei soggetti responsabili di quella “guerra” diventa cauto, abilmente gesuita. Non smorza il giudizio, rende tuttavia vago l’interlocutore del suo monito, della sua missione pacificatrice; lo disperde dentro un quadro puramente descrittivo, trasformando l’avversario nella generale categoria del “mercante d’armi” (una sorta di moderna declinazione del demonio). Se il terrorismo islamico –uno degli attori della guerra a pezzi, causa ed effetto dello scontro di potere, anche religioso!, nel mondo arabo- Papa Francesco se la prende con i mercanti di armi, anche se i terroristi ormai trasformano in armi assassine coltelli o furgoni. Allo stesso tempo, poco o niente ha detto, quando il più grande produttore e venditore di armi del mondo, gli Stati Uniti, (ci sono le impronte digitali del vostro Presidente, dice il trafficante di armi, nel film “ Lord of War”, all’agente FBI che lo ha arrestato),fanno esplodere la madre di tutte le bombe in Afghanistan (la cosiddetta moab bomb). Il papale dire ma non dire fino in fondo non penso siano frutto di omertà o di opportunismo. Invece, Papa Bergoglio appare (almeno a me) impegnato nel difficile tentativo di tenere insieme il messaggio (rivoluzionario?) di Cristo con il realismo di chi comunque è a capo, è responsabile di una comunità planetaria, che contiene ricchi e poveri, governanti e governati, produttori di armi e pacifisti, vittime e carnefici. Non fraintendiamo: è evidente che Papa Francesco sta con gli ultimi, sta con la parte debole di quelle dicotomie, però tenta di farlo passando per il passaggio stretto del convincimento e dell’incitamento, cercando di non strappare ma di ricomporre. D’altra parte, è anche vero che, quando il Papa ha chiamato per “nome” l’interlocutore, puntando direttamente il dito sui mali e sulle cause, i risultati sono stati meno che modesti. E’ il caso del Venezuela, dove il tentativo di mediazione di un alto prelato inviato dal Pontefice è mestamente fallito, costringendo la volenterosa porpora ad un frettoloso ritorno a Roma. Insomma, siamo di fronte ad un Papa autorevole, ascoltato in estasi dalle folle e con deferenza dai potenti, ma ben poco seguito o accettato nei comportamenti e nelle scelte. Forse inascoltato come mai nessun altro in passato, a riprova –probabilmente- della “follia” del messaggio? Inascoltato da parte anche della stessa Chiesa (quante Parrocchie o Monasteri hanno accolto il suo invito ad accogliere i migranti?). Contrariamente però al Celestino V, mirabilmente descritto da Silone nello splendido “ L’avventura di un povero cristiano”, sembra che Francesco possa resistere alla sostanziale “indifferenza” del potere e dei poteri (come dei voleri), cioè sembra non sia destinato a cedere al pessimismo, annunciando il “gran rifiuto” per lasciare spazio ad un altro –ennesimo- Bonifacio VIII. Anzi, sembra che quel suo tratto gesuita, che lo ha geneticamente forgiato, possa costituire la chiave per non soccombere, per non dover prendere atto come il Celestino di Silone che: “…è il potere che si serve di noi. Il potere è un cavallo difficile da guidare: va dove vuole andare, o meglio, va dove può andare e dov’è naturale che vada. Lo stesso vale per la Curia romana. Essa è quello che è…”. Forse.