Kohl lo statista tedesco
Kohl segue il grande cancelliere socialdemocratico Helmut Schmidt. L’SPD tedesca, lo ricordiamo, voleva l’Italia fuori dalla NATO dopo l’ingresso del Pci al potere. Ma la spesa pubblica di Bonn era fuori controllo, e la fine della cornucopia socialista al governo aveva portato il settore pubblico al 52% del PIL tedesco di allora. Non parliamo nemmeno della politica estera, dove Helmut Schmidt si era arrabbiato come una furia avendo saputo dell’abbandono, da parte degli Usa, del progetto della bomba al neutrone, che avrebbe parificato i potenziali tra Alleanza Atlantica e Patto di Varsavia per quanto riguarda le forze di terra. Era l’inizio della invasione. Schmidt lo sapeva, lo sapeva anche Giscard d’Estaing, lo sapevano tutti ma non i nostri politicanti, rincoglioniti allora come oggi dalle opposizioni.
Chissà come sarebbe andata a finire la crisi dell’URSS se il bischero americano Jimmy Carter non avesse bloccato il neutrone. Vallo a spiegare, il dislivello delle forze, a un predicatore battista americano, l’allora presidente Carter.
A questo punto arriva il governo di Helmut Kohl, che giura il 1 ottobre del 1982. Aveva iniziato, Helmut Kohl dal suo Palatinato, a fare politica nel partito fondato da Konrad Adenauer, la CDU, fin dal 1946. Kohl nasce, proprio nell’immaginario tedesco, come un uomo di apparato, senza fantasia e, probabilmente, senza le proverbiali “palle”. Schmidt lo presentò all’ambasciatore americano, durante una gita sul Reno, come “quello che vuole il mio posto, ma non l’avrà”. Con Kohl al potere si cambia la linea classista della socialdemocrazia. La Wende, la “svolta” del 1982 è diretta a proteggere la classi medie, a tagliare la spesa inutile dello Stato e a tutelare l’impresa.
Inoltre, Helmut Kohl accusa la sinistra ufficiale di non essere stata abbastanza a difesa dello Stato durante la lunga offensiva della Rote Armee Fraktion, il gruppo gemello delle nostre Brigate Rosse che, come gli italiani, era addestrato all’Est o in Medio Oriente. Solo gli archivi, in futuro, ci narreranno tutta la storia tra terrorismo rosso (e anche un po’ nero) addestrato dal FPLP palestinese, dai siriani, dai libanesi. Le “nuove” brigate rosse, invece, sono andate spesso in America Latina.
Ma è proprio Kohl, il grigio democristiano del Palatinato, che gli americani non conoscono nemmeno, a chiudere la porta ai manifestanti che vogliono la chiusura delle basi europee agli euromissili, i Pershing e i Cruise, che gli Usa vogliono rischierare per contrastare gli SS-20 sovietici ai bordi del confine tedesco (e italiano). Detto tra parentesi, fu proprio un dirigente milanese del PCI, di ritorno da Mosca, che informò i tedeschi sulla natura schiettamente offensiva della nuova linea degli SS 20 posti sul terreno dal Patto di Varsavia.
Kohl viene quindi salvato al Bundestag, con un epico discorso di François Mitterand che, nel 1983, enumera i due pericoli europei: “i pacifisti ad ovest, i missili ad est”. E per Kohl c’era un altro pericolo in agguato, il suo ministro degli esteri Genscher, che era arrivato da Berlino Est senza chiarire bene la sua storia. Gli americani gli tolsero ogni accesso ai documenti riservati. Finisce allora la guerra dei missili, Mosca capisce che non ha a che fare con delle mozzarelle e questo fu, certamente, il prologo dell’unificazione pacifica della Germania.
Dalla Adenauer Allee 141 di Berlino Kohl, che ha vinto sul campo i verdi e i tanti amici dell’Est, ora, comanda con tranquillità con le sue cravatte impossibili e le camicie di terital. Cossiga, che gli voleva bene, gli mandava ogni tanto cravatte di Marinella o camicie fatte a mano ma Kohl, pur cattolico, rimaneva insensibile all’eleganza maschile. Il Cristianesimo non abbandona mai il cancelliere della CDU: non sono le astratte forze impersonali, ma “sono le donne e gli uomini che fanno la storia”. Concretezza, acume, esperienza, eccoli gli strumenti del politico cattolico.
Cossiga mi diceva sempre che Kohl era il più cristiano dei politici che avesse mai conosciuto. Leggeva tutto, ma soprattutto biografie, come Churchill. Kohl è stato, probabilmente, uno dei più colti cancellieri della Repubblica Federale Tedesca. Prima di morire, con un cappuccino (la vera mania dei tedeschi) e una sigaretta alla menta, Helmut Schmidt renderà l’onore delle armi a Kohl, affermando che era davvero un grande statista.
Il carattere è poi quello che conta, per Helmut Kohl, la cultura si acquisisce durante il lavoro. Altra frase di Helmut Kohl, altra perla da insegnare ai nostri pallidi, e anche analfabeti, politicanti attuali. Per un tedesco, e non per un italiano, il carattere vuol dire il libero arbitrio, la durezza dell’esperienza, l’intuito, la morale e l’etica unite insieme. Per gli italiani, a parte alcuni casi specifici (Cossiga, La Malfa, Malagodi, e cito solo tra gli amici personali di Kohl) il carattere è il “do di petto” del tenore, la sparata dello sbruffone, il gridolino di Rignano, l’estremismo un tanto a chilo. L’esatto contrario del carattere vero.
Kohl poi amava Giovanni XXIII e Truman, due persone che invitavano tutti a non prendersi troppo sul serio. E Kohl, tedesco quasi napoletano, come Totò (che peraltro amava molto) riteneva che tutto fosse in mano della dea Fortuna.
Chi non conosce la storia recente della Germania dopo la sconfitta del Terzo Reich, poi, non comprende nulla dello speciale legame che unisce Berlino a Washington. Soldati che avevano cognomi tedeschi, e spesso conoscevano bene la lingua di Goethe, sono arrivati nella terra dei loro padri e l’hanno riportata in occidente. Il legame tra Berlino e gli Usa è ancora antropologico, culturale, caratteriale. I tedeschi, sin dal primo dopoguerra europeo, sono stati la prima, per numero di immigrati, etnia negli Stati Uniti. Sassoni con sassoni, tedeschi e galli contro italiani e irlandesi. Se non si capisce questo, non si chiarisce quindi la psicologia profonda del rapporto tra americani ed europei. Ed era anche quello, il nesso tra americani e tedeschi che piaceva ad Helmut Kohl.
La scuola dello statista è comunque sempre quella: famiglia piccolo-borghese, il padre di Kohl era un impiegato del fisco a Ludwigshafen, una delle città più brutte d’Europa, la famiglia che gli insegna che ogni centesimo si guadagna e non cresce sugli alberi, poi si studia la moderazione e la modestia. Scuole di scienza politica meglio di tante altre.
I ricchi borghesi non fanno gli statisti, si credono Dio e non conoscono il popolo. Le due entità che decidono, appunto, i destini degli Stati.
Padre ferocemente antinazista, va comunque in guerra come capitano della Wehrmacht. E io vi scrivo, ora, perché un colonnello della Wehrmacht disse a mia nonna di andarsene prima possibile.
Helmut Kohl, poi, si prende un titolo scolastico in agricoltura, che vale oro nell’affamata Germania in fase di democratizzazione; e questo dopo che un fratello è stato ucciso da un aereo alleato. Si laurea, nel caos tedesco, nel 1950, in storia e scienza politica, a Heidelberg. Lavora, durante le vacanze, alla BASF e poi si compra una Lambretta, proprio per girare Roma, come ha visto fare a Audrey Hepburn in Vacanze Romane. (Come dicono i tedeschi, “più ci si avvicina a Roma, meno si rimane cristiani”). Kohl finisce allora a fare l’impiegato all’Associazione delle Industrie Chimiche. Arrivato infine alla Cancelleria, lui che peraltro non disdegna il Potere, arriverà a mangiare prima dei pranzi di Stato, dove non si sa se si mangerà bene. Anzi, quasi mai. Helmut Kohl è corpo e anima, carattere complesso e talvolta duro, infinita esperienza del mondo esterno al “potere”, dove si mangia a quattro palmenti e si ride di tutto.
Helmut Kohl pubblicherà poi, con la moglie Hannelore, nel 1996, un libro di cucina, kulinarische reise durch deutsche lande, che non vi consiglio affatto.
Eccola, la ricetta di Helmut Kohl: solidità caratteriale, stile di governo che non fa concessioni ma non maltratta nessuno, esperienza diretta della vita del popolo, percezione che la Germania, e ancora l’Italia oggi, non è sola al mondo ma necessita di alleati e, inoltre, di una legittima indipendenza, infine ancora tanto intuito, carattere, stile.
Ci mancherà molto, Helmut Kohl, con questi mediocri e maledetti chiari di luna.