In vita e dolore del piccolo Charlie
Sono un medico. Sono un scienziato. E’ tutta la vita che combatto la lotta impari contro la malattia e la morte. Conosco il dolore, conosco lo strazio, conosco gli sguardi arrabbiati e delusi di chi non ho strappato dalla fine che lo ghermiva impietosa; conosco la difficoltà di trovare le parole di fronte ad un padre o una madre che disperati cercano nel tuo sguardo una luce di speranza che non puoi dare. Conosco le notti in bianco alla ricerca di una soluzione. Conosco le piccole fragili difese per rialzarsi ad ogni sconfitta, ostinandosi a combattere la malattia. Conosco la gioia di una guarigione che, per un attimo, guarisce tutte le ferite. Ero tutto questo quando le mie mani hanno raccolto quel grumo di vita e sofferenza che è il piccolo Charlie. Ho sentito forte –come una scossa- la gelida stretta della malattia che lo vuole trascinare con sé. Non mi sono arreso. Ho racchiuso il piccolo Charlie dentro un ventre di vetro e ferro, cercando di tenere lontana la morte spietata. Ho accarezzato quelle piccole membra, temendo che – come le ali fragili di certe farfalle- diventassero polvere fra le mie mani. La malattia era evidente nella sua inappellabile conclusione. Ma non mi sono arreso. Ho passato le notti a leggere e consultare ogni spazio di scienza, bramando un segno anche timido. Ho chiamato amici e rivali perché mi dessero una traccia, mi indicassero un sentiero anche piccolo ed impervio che mi portasse verso una medicina, un soluzione. Ogni giorno mi reco sulla soglia della piccola grotta di cannule e sensori dove stiamo proteggendo il piccolo Charlie dal dolore che lo sta per travolgere. Lo guardo e cerco in quel piccolo essere una ragione di quell’insistere nella difesa di un dolore che la scienza mi dice e ripete ormai inutile. Certe sere il cuore squassato travolge il castello della mia scienza. Le gambe mi tremano ed a volte il pianto scioglie ogni certezza. Sono abituato ad assorbire lo strazio dei genitori che devono accompagnare i figli alla fine della breve vita; ma coi genitori di Charlie lo strazio a tratti mi è insopportabile. Sento che potrei cadere. Devo arrendermi. Non ci sono speranze. Il mio cuore non mi parla più arrabbiato e stanco. Però mi conosce e sa che stavolta non posso che arrendermi. Charlie deve essere liberato dalla caverna artificiale, prima che sia il dolore a cacciarlo. Non c’è soluzione. Avessi un Dio, lo pregherei, ma Dio non conosce la medicina. Devo arrendermi, Charlie. Perdonami.
Sono un uomo di scienza giuridica, sono un magistrato, anch’io ho scelto il difficile mestiere di disporre della vita degli altri. Devo applicare la complessa equazione della giustizia. Un algoritmo difficile da far funzionare, tenendo insieme cuore e ragione. Ho preso tante decisioni. Sono abituato alla tensione del giorno della sentenza. Sono abituato anche al senso di inadeguatezza che mi assale ogni volta che scelgo quale pena o quale assoluzione. Sono abituato a cibarmi di dubbio come di un pane amaro e che non sazia mai. Stavolta, però, non è stato facile. Il piccolo Charlie si è presentato dentro una montagna di fogli, relazioni scientifiche, grafici, parametri vitali per me incomprensibili. Mi sono aggrappato alla fredda chiarezza dei numeri e delle leggi, ma il piccolo Charlie e la sua sofferenza hanno dato prepotente vita a quel mondo di carte e codici. Mi hanno travolto. Così, passeggiando o tornando a casa, non posso fare a meno di soffermarmi ai margini di qualche giardino a guardare i bambini che giocano felici, immaginando il piccolo Charlie sudato che corre fra alberi e pozzanghere. Non mi sono arreso. Ho studiato, ho cercato, ho voluto che ogni foglio fosse letto e riletto. Ho consultato altri medici, altri scienziati, altri giudici. Ho parlato coi medici del piccolo Charlie. Li ho sfidati a non arrendersi. Sono stato anche scortese, a tratti sprezzante, immaginando non so bene che cosa. Ho preteso che mi convincessero, ma ho sperato che non ci riuscissero. Ma sono un uomo di diritto e di ragione. Di fronte alla scienza che non mi ha dato scampo, mi sono arreso. Ho deciso quello che era inevitabile decidessi, ma che mi porterò dentro come una sconfitta, una lesione dell’anima. Avessi un Dio, lo pregherei, ma Dio non conosce la medicina e neanche il diritto degli uomini. Devo arrendermi anch’io, piccolo Charlie. Perdonami.
Naturalmente quello che ho scritto è pura fantasia. Tuttavia spero che i medici ed i giudici che hanno deciso di non infliggere inutili sofferenze al piccolo Charlie, accompagnandolo verso la fine della sua brevissima vita, abbiano davvero fatto ogni tentativo, perché quella decisione non fosse presa. Sono un sostenitore della morte dolce contro l’accanimento terapeutico. Sono per l’eutanasia, senza nasconderla dietro formule pudiche e contorte. In questo intervento, però, non è di questo che voglio parlare. E’ marginale. Nelle questioni ultime –come ha scritto Gustavo Zagrebelsky- si è sempre penultimi. Comprendo quindi le discussioni laceranti e le divisioni. Rispetto e comprendo le posizioni diverse dalle mie. Però credo che nessuna posizione critica possa cogliere l’occasione per riproporre l’idea antica di una scienza che è aridità e presuntuosa onnipotenza, contro la religione che è l’unica risposta calda e compassionevole. Dalla mia esperienza posso dire di aver conosciuto in netta prevalenza scienziati di medicina e di legge capaci di pensiero ed empatia. E voglio credere che lo siano stati anche coloro che hanno deciso sulla piccola e sofferente vita del piccolo Charlie.