La legge dal Fiano corto
Per pura coincidenza, sono stato coi miei figli a visitare Budapest nel pieno del dibattito (sguaiato come spesso accade in Italia) sulla proposta di Legge dell’onorevole Fiano che, nella sostanza, entra nel terreno scivoloso del distinguere fra libertà di pensiero e propaganda, prevedendo condanne penali per quest’ultima, immaginandoci però quale caos di sentenze, pareri, ricorsi, controricorsi, appelli, sofismi si verrà a creare in quella distinzione certamente non scontata.
In Ungheria, come nei paesi dell’ex blocco sovietico, al nazifascismo seguì quel comunismo che poi si rivelò una dittatura cupa e liberticida, spazzata via dopo circa mezzo secolo. Le milizie paramilatari ungheresi delle croci frecciate, insieme agli ustascia croati, sono stati tra i carnefici più spietati delle dittature filonaziste fra la prima e la seconda guerra mondiale; mentre, nell’autunno del cinquantasei, i carri-armati sovietici calpestarono corpi e diritti degli ungheresi che invocavano libertà e democrazia contro la dura oppressione del regimo comunista.
In quella Budapest delle due dittature, dopo il duemila, hanno realizzato un parco (Memento park) dove sono raccolte le grandi statue che rappresentano il periodo comunista, compresa la copia degli stivali della grande statua raffigurante Stalin (un tempo collocata, “vigile” ed imponente, nella piazza delle grandi parate del regime) ed abbattuta dai dimostranti democratici nel cinquantasei. Lì puoi fotografarti con un mezzo busto di Lenin o del baffuto dittatore giorgiano; puoi comprare gadget ed oggettistica del periodo comunista (la legge Fiano, in versione ungherese, lo proibirebbe). A Budapest, inoltre, è aperta da pochi anni, la “Casa del Terrore”, un museo visivo in cui i visitatori possono vivere il passaggio senza soluzione di continuità fra fascismo-nazismo e comunismo. Per me che provengo dalla storia comunista, quelle due tappe sono state la conferma che, quando nel mio piccolo universo politico –ottenendo un certo successo di adesioni- , scrissi il manifesto “oltre il PCI” (ben prima della caduta del Muro di Berlino!), avevo ragione almeno su un punto: per quanto il comunismo italiano sia stato ben altro dai regimi comunisti dell’est, da quelle dittature oppressive; per quanto il comunismo in sé sia stata un’idea di grande umanità, la sua applicazione nel mondo reale (da Stalin a Pol Pot) non ha prodotto libertà ed emancipazione, ma persecuzione di ogni dissenso, nuove forme di oppressione, sfociate anche in vere e proprie follie omicide. Quindi quell’idea, quella parola così evocativa, è stata irrimediabilmente compromessa; perciò non servono distinzioni fra comunismo buono e comunismo cattivo. Non servono più. Come, a maggior ragione, in Italia sono prive di senso e patetiche certe distinzioni fra il fascismo “buono” che ha bonificato un pò di paludi e quello”deviato” che ha fatto le leggi razziali. Tuttavia non credo che serva neppure una legge che penalizza la propaganda fascista come non servirebbe una legge che punisse la propaganda comunista. Non servono processi e carceri. Serve invece memoria, la memoria che -come ha scritto Octavio Paz- non è quello che ricordiamo, ma quello che “ci ricorda”. Serve quella memoria lì. E serve conoscenza. E serve cultura. E serve il pensiero e la possibilità di confutarlo. In una parola: serve la democrazia; la migliore “legge” contro ogni nostalgia dei tempi bui, a partire, per l’Italia, dal periodo fascista.