15 Novembre 2024
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Vendesi Regione Sicilia

I dati sono ormai noti, ma è bene ricordarli: Nello Musumeci, il candidato unico del centrodestra in Sicilia alle elezioni regionali ha vinto nettamente, con il 39,8%. La formula che ha permesso questo risultato è stata soprattutto la storia e la faccia di questo vecchio dirigente del MSI siciliano, un uomo che Berlusconi non voleva tra i piedi, ma che ha dovuto digerire in assenza di altri personaggi papabili della vecchia Forza Italia in Sicilia e di un candidato del PD (Micari, 18,7%) scelto solo per perdere.

Il PD e il disastro delle regionali siciliane
Micari, peraltro, più che essere il primo candidato del partito democratico, era in particolare l’uomo di Leoluca Orlando, il sindaco attuale e ormai eterno di Palermo (quel politico che Cossiga chiamava sempre “Orlando Cascio” per ricordare, a chi già sapeva, le ascendenze familiari particolari dell’allora giovane DC palermitano).
Il PD crolla, lasciato a se stesso in Sicilia, dopo polemiche e chiacchiere sulla possibile candidatura, per una sinistra unita, di Pietro Grasso, già presidente del Senato e antico giudice a latere del maxiprocesso di Falcone e Borsellino. Ma Grasso è stato prima illuso, poi messo ai margini, infine si è preso una brutta offesa da un dirigente del PD palermitano e ora medita di fare una grande lista unendo il Partito Democratico con le altre frazioni rimaste fuori da quel Partito nell’area della sinistra più, diremmo così, “tradizionale”. Certo, il PD ha pagato cara anche la ridicola gestione regionale di Crocetta, alla quale si erano collegati, fino a poco prima delle elezioni, gli stessi Cinque Stelle.
Claudio Fava, leader della lista “Cento Passi” legata ad “Art. Uno”, i fuoriusciti dal PD insieme a Bersani e d’Alema, ha raggiunto il 6%, il miglior risultato tra tutti quelli dell’area a sinistra del PD. Per come me lo ricordo, da ormai antico consulente di una commissione antimafia, Fave è un uomo civile e intelligente, che conosce benissimo la Sicilia. Ma i “profeti disarmati ruinano”, come ci ha insegnato il Machiavelli.

Vincono i 5Stelle senza ideologia
I Cinque Stelle hanno fatto una campagna massiccia e distesa su tutto il territorio, uno dei veri motivi del loro indiscusso successo. I “grillini” hanno poi vinto anche per la stabile aura di disprezzo e ridicolo che circonda tutta la classe politica. Chiunque oggi, in Italia, basta si dichiari “nuovo” rispetto ai vecchi equilibri di potere e ai partiti tradizionali per ritrovarsi sommerso da infinite preferenze elettorali. Inoltre, i “grillini” incarnano la massima follia della Democrazia, quella secondo la quale “uno vale uno”… Purtroppo (o per fortuna) uno può valere tre milioni di altri o anche nessuno, soprattutto nella regione di Pirandello.
Mentre Matteo Renzi, il vero “populista” nel sistema politico attuale, vive di comunicazione e di vecchia propaganda di tipo pubblicitario, la gente ormai è stanca delle vecchie tecniche di comunicazione, appunto, e vuole roba seria e soda subito, mentre la crisi economica continua a bussare alle porte e il reddito, quando c’è, è sempre meno.
I Cinque Stelle vincono a Palermo, e vinceranno anche in Italia, perché dicono di volere il “salario di cittadinanza” e il ritorno di un nuovo welfare state. Non c’è ideologia, c’è paura, povertà nuove o vecchie, crisi di status sociale, terrore per il futuro. La gente è oggi stufa dei minuetti, delle ripicche, dei messaggi cifrati, vuole i salari e i servizi, tanti posti di lavoro e le pensioni. Nella logica del grillismo, quello che è stato tolto ai poveri è stato dato, illegittimamente, alle classi politiche. Non è vero, ma ormai il paradigma mentale degli elettori italiani, anche di quelli che non votano Cinque Stelle, è questo.

Magistratura: la costruzione dell’antipolitica
Il mito della magistratura onnipotente, l’infinita nenia di “Tangentopoli”, una delle più grandi space balls della recente storia italiana, hanno fino ad oggi costruito un comune sentire antipolitico e antipartitico, dove tutto ritorna possibile per chi voglia ridare al popolo il suo vecchio welfare, rapitogli dai “ladri” della classe politica. Non è così, lo ripetiamo, ma ormai l’animus elettorale è questo.
Finisce oggi, e lo abbiamo visto in Sicilia, un vecchio paradigma della politica italiana: le elezioni non si vincono più “al centro”, perché il vecchio modello politico ed elettorale degli anni ’60 è morto e sepolto: le classi medie non crescono, anzi si restringono e vanno in crisi, aumenta il sottoproletariato e, molto di meno, le classi a più alto reddito, gli ascensori sociali sono tutti bloccati, la classe operaia non esiste più e anche il ceto medio dell’impiego pubblico o è impoverito o è cessato. Tutte le classi sociali e i gruppi d’interesse sui quali si è fondato il nostro sistema politico, in Sicilia come altrove, non esistono più. E ricordiamo che, come ci narra Isaiah Berlin per la rivoluzione bolscevica, non sono i vecchi poveri che formano le masse rivoluzionarie, ma quelli che si sentono e sono declassati o che temono di impoverirsi e di perdere status sociale. È proprio la condizione dell’Italia attuale.

I conti economici della Sicilia
Ma come va la Sicilia, che, giustamente, il catanese (come Musumeci) Pietrangelo Buttafuoco vuole che sia dichiarata fallita, come un’industria decotta? Il bilancio 2016 della Regione non è stato approvato dalla Corte dei Conti e la Sicilia è stata messa ufficialmente in mora. Tredici società partecipate dalla Regione Sicilia, tutte in grave crisi di liquidità, come quella di cui dovette occuparsi il governo Monti ai tempi del governatore Lombardo, 99 milioni di Euro di disavanzo di amministrazione, altre diciassette società partecipate in liquidazione, 18.075 membri attivi dell’amministrazione regionale, con una spesa di 630 milioni di Euro, ma tra dipendenti diretti e indiretti la Regione Sicilia arriva a 75.000 unità.
Per non parlare dei 17.000 impiegati regionali, a vario titolo, in quiescenza, che pesano direttamente sulle casse regionali. Nel frattempo, è subentrato un soggetto terzo per gestire i trattamenti pensionistici, che paga gli assegni attraverso una dotazione, sempre a carico della Regione, di 610 milioni per il solo 2016.
L’Ente siciliano ha, inoltre, conferito a un fondo immobiliare, le cui quote sono state acquisite integralmente dal fondo pensione dei dipendenti regionali, edifici di sua proprietà già in uso come uffici. Il totale dei valori immobiliari concessi al fondo sarebbe di 59 milioni di Euro per il solo biennio 2017-2018. Sui 1,5 miliardi di residui passivi, la Regione Sicilia è riuscita a riscuoterne solo 411 milioni. Coperture fittizie di bilancio, anticipazioni di liquidità, scoperti di cassa verso il Tesoriere regionale (l’Unicredit) tutti fondi che l’Ente dovrà restituire con un piano di ammortamento che durerà fino al 2045. Secondo alcuni, l’esposizione finanziaria della Regione sarebbe di otto miliardi di Euro.

Basta con le Regioni autonome
Cosa può fare un Presidente, anche se pieno di buona volontà, in una situazione come questa? Quasi niente. O peggio. Chiudere quindi subito tutte le Regioni autonome: la Sicilia non è più una piattaforma tra Cosa Nostra e gli USA, come nel 1948, l’Alto Adige non è più una regione piena di terroristi “tirolesi”, la Valle d’Aosta, altra autonomia in grave crisi finanziaria, non è più nelle mire nazionaliste di De Gaulle. La Sardegna ha poi avuto, dalla sua autonomia regionale, più disastri che benefici. Basta quindi con le amministrazioni autonome, basta con l’eccesso di classe politica periferica, basta con l’immane massa di inutili, e quindi dannosi, impiegati regionali, provinciali, comunali, consortili o comunque degli Enti Pubblici Territoriali. E mandare in Tribunale, appena possibile, i libri contabili della Regione Sicilia.