Ecco l’Italia!
La nazionale italiana non ha perso le qualificazioni ai prossimi Mondiali. L’Italia ha perso la dignità.
Non l’ha persa perché è stata battuta sul campo da una squadra, quella svedese, che ha fatto il nostro vecchio catenaccio; non l’ha persa perché i club non valorizzano i vivai giovanili; non l’ha persa perché sono stati scelti dei giocatori invece di altri.
L’Italia del calcio ha perso la dignità (e quindi – giustamente – anche le qualificazioni ai Mondiali) in almeno tre occasioni precedenti.
L’ha persa a Marzabotto, quando Eugenio Maria Luppi, un vile coglione di 25 anni (che speriamo venga allontanato da tutti i campi dove si gioca qualunque sport), ha fatto gol per la squadra Futa56. Questo disgustoso personaggio si è tolto la maglia della squadra lasciando in bella mostra la t-shirt col simbolo della Repubblica Sociale Italiana di Salò ed è corso con veemenza verso gli spalti facendo il saluto fascista, in uno dei luoghi più tristi della storia italiana, dove furono assassinati dai nazifascisti oltre 700 italiani, per lo più donne e bambini. I nazifascisti, il 29 settembre del 1944, a Marzabotto, sparavano anche ad altezza di ginocchia per cogliere in testa i bambini.
L’ha persa a Roma, quando alcuni ultras della Lazio hanno diffuso gli adesivi di Anna Frank con la maglia della Roma. E quando il presidente della Lazio Claudio Lotito ha gestito da pagliaccio quella che lui stesso ha definito improvvidamente “una sceneggiata”. Non basterebbe una visita ad Auschwitz e Birkenau in questo caso, ma almeno il viaggio in Polonia su un treno merci con i vagoni piombati aiuterebbe la coscienza.
L’ha persa dallo scranno più alto della Federazione Italiana Giuoco Calcio, quando il presidente Carlo Tavecchio (che non meriterebbe di guidare neppure un autobus di linea) ha affermato le sue idiozie: “Non ho niente contro gli ebrei, ma meglio tenerli a bada”; “Tenete lontani da me gli omosessuali”; “Optì Pobà che prima mangiava le banane, adesso gioca titolare nella Lazio”; “Finora si riteneva che la donna fosse un soggetto handicappato rispetto al maschio sull’espressione atletica”.
Da oggi tutti accusano il commissario tecnico della Nazionale, Giampiero Ventura perché – si sa – un capro espiatorio serve sempre e, nel caso specifico, è pure giusto che un allenatore così inconsistente se ne vada immediatamente. Ma non sarà l’allontanamento o le dimissioni di Ventura a far risorgere le sorti degli Azzurri. Ci vorrebbe ben altra pulizia nelle stanze del calcio italiano, a partire dalla testa.
Una nazionale di calcio non è mai lo specchio di un Paese, tanto meno in un periodo come quello attuale, in cui la globalizzazione e i regionalismi (in Catalogna la chiamano “indipendenza”), le migrazioni e l’Europa unita hanno (per fortuna) mescolato un po’ le carte degli Stati nazionali novecenteschi. Tuttavia i risultati di una nazionale di calcio rappresentano una voce non irrilevante dell’economia: la vittoria dell’Italia ai Mondiali del 2006 a Berlino significarono circa 1,9 punti percentuali in più del PIL italiano.
E quanti televisori in meno si venderanno in Italia la prossima estate? Quanti concorsi a premi in meno incrementeranno la vendita di birre, patatine, merendine, gelati, viaggi, divani e poltrone (magari Ikea…), smartphone, frigoriferi, e chi più ne ha più ne metta?
Niente. L’Italia è un Paese (lo è ancora?) senza dignità, senza memoria, senza coraggio e senza attributi. Il governo ha nulla da dire sui vertici del calcio italico?
Alla fine di Italia-Svezia, nel campo abbandonato di San Siro, tutti, Ventura in primis, sono scappati e hanno lasciato da solo Gianluigi Buffon. L’unico che, con responsabilità ed emozione, non è scappato di fronte agli italiani, e ha lamentato la sconfitta come una mancata occasione per dare un segnale di coesione sociale al Paese.
[con l’intuizione di Marzia Maestri]