Gli “auguri” di Auden
A New Year Greeting
On this day tradition allots
to taking stock of our lives,
my greetings to all of you, Yeasts,
Bacteria, Viruses,
Aerobics and Anaerobics:
A Very Happy New Year
to all for whom my ectoderm
is as Middle-Earth to me.
For creatures your size I offer
a free choice of habitat,
so settle yourselves in the zone
that suits you best, in the pools
of my pores or the tropical
forests of arm-pit and crotch,
in the deserts of my fore-arms,
or the cool woods of my scalp.
Build colonies: I will supply
adequate warmth and moisture,
the sebum and lipids you need,
on condition you never
do me annoy with your presence,
but behave as good guests should,
not rioting into acne
or athlete’s-foot or a boil.
Does my inner weather affect
the surfaces where you live?
Do unpredictable changes
record my rocketing plunge
from fairs when the mind is in tift
and relevant thoughts occur
to fouls when nothing will happen
and no one calls and it rains.
I should like to think that I make
a not impossible world,
but an Eden it cannot be:
my games, my purposive acts,
may turn to catastrophes there.
If you were religious folk,
how would your dramas justify
unmerited suffering?
By what myths would your priests account
for the hurricanes that come
twice every twenty-four hours,
each time I dress or undress,
when, clinging to keratin rafts,
whole cities are swept away
to perish in space, or the Flood
that scalds to death when I bathe?
Then, sooner or later, will dawn
a Day of Apocalypse,
when my mantle suddenly turns
too cold, too rancid, for you,
appetising to predators
of a fiercer sort, and I
am stripped of excuse and nimbus,
a Past, subject to Judgement.
*
Augurio per l’anno nuovo
In questo giorno, in cui per tradizione
facciamo il punto sulla nostra vita,
i miei auguri a tutti voi, Fermenti,
Batteri, Virus,
Aerobici e Anaerobici:
un Felice Anno Nuovo
a tutti quelli per il mio ectoderma
è come me la Terra di Mezzo.
Alle creature della vostra taglia
offro la libera scelta dell’habitat,
accomodatevi dunque nella zona
che più vi aggrada, i laghi
dei miei pori o le foreste
tropicali del pube e dell’ascella,
i deserti degli avambracci
o i freschi boschi del cuoio capelluto.
Formate colonie, vi darò
calore e umidità adeguati,
il sebo e i lipidi che vi occorrono,
a condizione che mai mi secchiate
con la vostra presenza
ma vi comportiate da ospiti cordiali,
senza insorgere in acne
o piaga o piede dell’atleta.
Il mio clima interno influenza
le superfici ove vivete?
I cambi imprevedibili
attestano i miei tuffi a capofitto
da alti ove la mente è in pieno assetto
e nascono pensieri rilevanti
e bassi dove non succede niente,
nessuno chiama, e piove.
Vorrei proprio pensare di dar luogo
a un mondo non impossibile,
ma un Eden non può essere:
là i miei giochi, i miei atti intenzionali
potrebbero sfociare in cataclismi.
Se foste religiosi, i vostri drammi
come giustificherebbero
il dolore immeritato?
Con quali miti i vostri preti
spiegherebbero l’arrivo
di due uragani in ventiquattr’ore,
ogni volta che mi vesto o mi spoglio,
quando intere città aggrappate a zattere
di cheratina sono spazzate via
a perire nello spazio, o il Diluvio
che vi brucia a morte quanto faccio il bagno?
Il prima o poi sorgerà
un giorno dall’Apocalisse,
quando di colpo il mio manto sarà
troppo freddo e rancido per voi
ma appetitoso per i predatori
di razza più feroce, e io, spoglio
di scuse e aureole, sarò un Passato
sottoposto al Giudizio Universale.
Mi piace aprire l’anno con un omaggio a uno dei più grandi poeti del Novecento, Wystan Hugh Auden, di cui è uscita due anni fa una bella raccolta di Poesie scelte tradotte da Massimo Bocchiola e Ottavio Fatica, a cura di Edward Mendelson (Adelphi, Milano 2016). Il volume ripropone un famoso saggio di Josip Brodskij, Per compiacere un’ombra (1983), scritto in memoria del poeta scomparso. E come Brodskij, parlando di Auden, parla anche di sé, e soprattutto della poesia, così farei io, paulo minora, limitandomi però alla poesia. Quando in questi giorni mi sono imbattuto in A New Year Greeting di Auden, alla ricerca di qualcosa che riscatti la noia delle “feste comandate”, confesso di aver avuto un sussulto di ilarità e gioia; e se è vero che non si tratta della poesia più famosa di Auden, credo però che essa si presti a considerazioni di qualche interesse anche per chi non voglia rinunciare all’augurio di un anno migliore. Considerazioni come: la poesia ha sempre qualcosa da dire quando non si accontenta della realtà, né delle sue varie e talvolta avariate modalità discorsive (sub specie del realismo); e ha qualcosa da dire se mira a vedere oltre i limiti dei saperi specialistici, infrangendo abitudini e consuetudini, clichés e luoghi comuni, paradigmi e conformismi.
Pare, dunque, che questa poesia di Auden, dedicata a Vassily Yanowsky, russo emigrato, dottore nonché scrittore, sia stata ispirata da un articolo di biologia uscito su «Scientific American», nel gennaio del 1969, e firmato da Maria J. Marples (un nome già leggendario nella produzione giallistica di Agatha Christie!) che parlava della scoperta di un micro-ecosistema batterico nei tessuti epidermici del nostro corpo. L’articolo doveva senz’altro avere un suo quid, che il poeta non sottovaluta, anzi apprezza incorniciando il nuovo immaginoso paesaggio cutaneo (le squame di cheratina come zattere, le foreste tropicali delle ascelle, il deserto degli avambracci, la piscina del condotto della ghiandola sudoripara, il bosco del cuoio capelluto ecc.) in una riflessione sull’esistenza, sul nostro destino e sulla sorte del lussureggiante microcosmo batteriologico che la nostra pelle ospita. Quel tanto d’irriverente che spira nella poesia è proprio dello stile di Auden, il quale solo qualche mese dopo avrebbe dedicato allo sbarco sulla luna una poesia, Moon Landing, dai toni dissacranti (così l’incipit: «It’s natural the Boys should whoop it up for / so huge a phallic triumph…», ‘È ovvio che i Maschi inneggino a cotanto / trionfo fallico…’). Pertanto, il poeta, sotto le vesti di un cortese dio-albergatore, decide di fare gli auguri di un felice anno nuovo ai suoi ospiti, scusandosi degli inconvenienti igienico-meteorologici nei quali essi potrebbero incorrere, e ad ogni buon conto ricordando che la loro permanenza, checché ne pensino, avrà un termine: alla fine si ritroveranno su un pianeta sempre più «freddo e rancido», e non è escluso che arriveranno altri esseri più «feroci» a smantellare quel che resta del loro comodo ecosistema, qualora non giunga addirittura il tanto atteso Giudizio Universale in cui la resurrezione del corpo (cui toccherà, presumibilmente, di recuperare la decrepita guaina) porterà qualche problema agli esclusivi micro-abitanti, alle loro dinamiche colonie, ai loro progetti stanziali. Che ne sarà di quello che è sopra la pelle, e cosa di quello che è sotto? Solo «Past», ‘Passato’? Sembra che non ci sia futuro, ma non è proprio così, perché – ed è qui la poesia – i versi di Auden, a cinquant’anni dalla loro prima stesura, tornano a ogni lettura, e (vista l’occasione) a ogni inizio anno, a ricordarci che non bisogna fermarsi alla superficie delle cose (sia pure nell’ambito di un importante risultato scientifico), perché la realtà può essere vista da diversi punti di vista, e talvolta è proprio uno di questi punti di vista a farci immaginare che la vita non è tutta qui.