Siria: armi chimiche hollywoodiane
La Siria di Bashar el Assad deve morire. Per gli Usa, essa è la continuità strategica dell’Iran verso il Mediterraneo e il dente tattico nell’asse sunnita tra Giordania e Arabia Saudita, alleati di ferro degli Stati Uniti. E l’Iran è ancora il nemico n.1 per gli americani, come teorizzava Michael Ledeen, quando diceva che l’Iraq non era importante da colpire, bisognava attaccare direttamente l’Iran, la parte media e più importante dell’”asse del male”. Il cuore del terrorismo, secondo gli Usa. Che poi Riyadh sia stato il maggior finanziatore del sedicente califfato dell’Isis, la sponda principale di Al Qaeda, il sostenitore dei Taliban afghani, come rivelano i documenti di Wikileaks, evidentemente non preoccupa gli americani. Che comunque sapevano.
Per la Turchia, invece, l’unità territoriale siriana significa la possibilità dei curdi del Nord della Siria di unirsi ai curdi interni al territorio turco, creando una massa di manovra tale da mettere in difficoltà ogni governo, ad Ankara.
Per Israele poi, la Siria è il vecchio nemico del Nord dell’epoca sovietica, che la continuità strategica con l’Iran rende più pericoloso di prima. La presenza, oggi, di Teheran vicino alle Alture del Golan, la continuità delle forze speciali di Teheran con gli Hez’bollah libanesi, sono tutti ovvi pericoli mortali per Gerusalemme.
La Francia entra nel novero del recente attacco contro i depositi di armi chimiche dei siriani per emergere ancora come potenza globale, per ricostruire un rapporto strettissimo con gli Usa, per coprire il vuoto di potere e di sostegno popolare che attualmente sperimenta la presidenza Macron.
La Gran Bretagna è della partita soprattutto a causa dell’attacco chimico, presunto, della Russia all’ex agente inglese di origine russa Skripal; il ruolo di Londra in questa operazione è essenzialmente antirusso.
La ricostruzione di un clima da guerra fredda occidentale contro la Federazione Russa è l’altra chiave dell’operazione aerea in Siria di Usa, Gran Bretagna, Francia.
Vladimir Putin ha ricostruito l’interesse nazionale russo, vuole proteggere da ogni tipo di minaccia la linea del greggio e del gas russo verso l’Europa e la Turchia, vuole la sua libertà di azione nel Medio Oriente. Mosca è in Siria soprattutto per bloccare il gioco pericoloso delle “primavere arabe” organizzate dagli americani, che hanno provocato danni inimmaginabili a tutto il mondo arabo. Il progetto delle “primavere” nacque, nella mente degli Usa, per fare in modo che le masse arabe si potessero ribellare ad Al Qaeda, come confessò Michael Morell, vice direttore della CIA, in un suo libro del 2015. Geniale, non c’è che dire…
E ora il gioco che sta facendo Washington è quello della nuova guerra fredda. Se Mosca si prende la Siria, ha in mano il Mediterraneo orientale. Non a caso Putin ha avuto la promessa, dal generale Haftar, l’altra parte della Libia rispetto a Al Serraj, di una base navale in Cirenaica. Se la Russia mantiene in efficienza le due sue basi siriane, Latakia e Tartus, può comunque operare liberamente nel Mediterraneo, e interdire le mosse marittime di Usa, Gran Bretagna, Francia.
Naturalmente, Assad ha compiuto, secondo Trump, dei “crimini contro l’umanità”. È il fondamento propagandistico hollywoodiano di ogni operazione militare degli Usa. Strano, però, che l’attacco chimico che tutti imputano ai siriani sia stato operato dopo che la gran parte dei jihadisti se ne era andato da Duma. Il gruppo dei “ribelli”, come li chiamano gli americani, era composto da Jaysh-al Islam, una organizzazione jihadista strettamente legata e finanziata dall’Arabia Saudita, che lotta sempre contro ogni Paese che si unisca al progetto strategico iraniano. Il 15% della popolazione saudita è sciita e Riyadh sta subendo gravi rovesci nella sua lotta contro i ribelli (stavolta veri) Houthy, sciiti, in Yemen.
Jaysh al Islam aveva sicuramente armi chimiche, peraltro. Non possiamo stabilire se le abbiano usate loro contro i siriani, il che avrebbe un senso, oppure i siriani di Bashar el Assad contro la loro stessa popolazione, appena che i “ribelli” jihadisti se ne erano andati, il che non è molto logico. Peraltro, il bombardamento è avvenuto poco prima dell’arrivo degli esperti dell’OPAC, una agenzia dell’ONU che opera specificamente sulle armi chimiche. E sono stati gli stessi Usa ad affermare, nel 2014, che il regime di Assad aveva consegnato tutte le armi chimiche a sua disposizione.
E ancora, se i depositi non fossero stati svuotati, allora o poco fa, delle armi chimiche che contenevano, i recentissimi bombardamenti alleati avrebbero creato la più grande nuvola di gas nervini in tutto il Medio Oriente, nuvola capace di colpire la maggioranza dei siriani e buona parte dei popoli vicini. E invece, nulla…
Per i missili “alleati”, dobbiamo contarne 105 lanciati dagli americani, il doppio di quelli impiegati l’anno scorso nell’attacco Usa alla base siriana di Shayriat. I missili americani sono stati 66 dal mare dei 105, a parte 6 vettori lanciati da un sottomarino, il Georgia o il Warne. Altri 19 missili Usa sono stati lanciati da un aereo, probabilmente alzatosi in volo dalla base nel Qatar. Dodici sono stati i missili utilizzati dai francesi, lanciati da una fregata, probabilmente l’Aquitaine, mentre altri nove vettori sono stati lanciati da dei cacciabombardieri Rafale. Gli inglesi hanno lanciato dal cielo 8 missili.
E se tutto l’astio contro Bashar Assad e la Russia fosse nato dalla ipotizzata costruzione della pipeline Iran-Iraq-Siria, la pipeline del “gas islamico” che doveva partire da Assalouyeh in Iran e arrivare a Damasco, per poi dirigersi verso il Libano e, da qui, verso i mercati europei?
Sarebbe stato un grave affronto economico e strategico verso la pipeline transarabica, che parte dall’Arabia Saudita e arriva a Sidone, in Libano. Non per fare i volgari marxisti, ma non siamo del tutto convinti che la guerra in Siria non abbia nulla a che fare con la questione delle pipelines in contrasto.