Un ricordo del giovane Brecht
Erinnerung an die Marie A.
An jenem Tag im blauen Mond September
Still unter einem jungen Pflaumenbaum
Da hielt ich sie, die stille bleiche Liebe
In meinem Arm wie einen holden Traum.
Und über uns im schönen Sommerhimmel
War eine Wolke, die ich lange sah
Sie war sehr weiss und ungeheuer oben
Und als ich aufsah, war sie nimmer da.
Seit jenem Tag sind viele, viele Monde
Geschwommen still hinunter und vorbei.
Die Pflaumenbäume sind wohl abgehauen
Und fragst du mich, was mit der Liebe sei?
So sag ich dir: ich kann mich nicht erinnern
Und doch, gewiss, ich weiss schon, was du meinst.
Doch ihr Gesicht, das weiss ich wirklich nimmer
Ich weiss nur mehr: ich küsste es dereinst.
Und auch den Kuss, ich hätt ihn längst vergessen
Wenn nicht die Wolke dagewesen wär
Die weiss ich noch und werd ich immer wissen
Sie war sehr weiss und kam von oben her.
Die Pflaumenbäume blühn vielleicht noch immer
Und jene Frau hat jetzt vielleicht das siebte Kind
Doch jene Wolke blühte nur Minuten
Und als ich aufsah, schwand sie schon im Wind.
Ricordo di Marie A.
Un giorno nel mese azzurro di settembre
quieto all’ombra d’un giovane susino
tenevo il quieto e pallido amor mio
fra le mie braccia come un dolce sogno.
E su di noi nel bel cielo d’estate
c’era, ed a lungo la guardai, una nuvola.
Era assai bianca e alta da non credere
e quando la cercai non c’era più.
Dopo quel giorno molte e molte lune
con tante acque sono corse via.
Sono i susini già tutti recisi,
e dell’amore, mi chiedi, che fu?
E ti rispondo: non me ne ricordo.
Eppure, credi, so che cosa intendi:
ma quel suo viso volto, io, non lo so più.
Questo soltanto so: che lo baciai.
E anche il bacio, l’avrei dimenticato
non fosse per la nuvola che andava
Quella so ancora e sempre la saprò:
era assai bianca e mi veniva incontro.
Sono forse i susini ancora in fiore,
forse il settimo figlio già quella donna avrà.
Ma pochi istanti fiorì quella nuvola
e quando la cercai era già vento.
Mi ha sempre colpito la sicurezza con cui Franco Fortini chiamava liriche le poesie di Brecht (autore ritenuto “impegnato” come pochi): anche in piena guerra fredda, esse mostravano avere, senz’ombra di rétro, la forza pura della poesia. Uno dei componimenti di Brecht che ho sentito a lungo eslege rispetto al corpus incentrato prevalentemente su questioni politiche e sociali (e non penso solo alle ballate e alle canzoni disseminate anche nell’opera teatrale, o alle poesie come Domande di un lettore operaio o agli epigrammi fatidici del Breviario tedesco) è il Ricordo di Marie A. (sopra riportata nella versione di Fortini), di cui comunque non è stato mai misconosciuto, dai critici più accorti, l’evidente liricità che pare dischiudersi, almeno a prima vista, entro un’armoniosa partitura post-romantica (il testo è datato ai primi anni Venti del Novecento), screziata da una modernità che si sarebbe rapidamente consumata fra la prima inutile strage della Grande Guerra e quella ancora più insensata e ignobile che si scatenerà venti anni dopo. Brecht ha sui 25 anni quando scrive questa poesia e non è detto che parli di un episodio vissuto: possibile che già non ricordi il suo primo o secondo amore? possibile che quella donna abbia già partorito sette figli? e quel bacio dato a occhi aperti, mah… Come mi ha fatto notare più di una lettrice, qualcosa stona: o si tratta di una prospettiva maschile, o è vero che una donna non avrebbe la memoria così corta. Io direi che Brecht riprende motivi di qualche canzone popolare, e con lo scatto del poeta già maturo qual è sa metterne in risalto il senso più profondo. Una bellissima prova su un registro ‘minore’, se vogliamo, per un autore che intanto si misurava con testi teatrali e ballate intonate a una paradossalità anticonformistica, chiaramente leggibile in chiave politica, come La leggenda del soldato morto (scritta a vent’anni) che, nel clima arroventato del dopo-guerra, in cui precipitano scontrandosi o incontrandosi le varie correnti dell’ avanguardia europea, tracciano i nuovi sentieri nella cultura artistica degli anni venti, prima che il nazismo spazzi via tutto.
Fra i richiami a una maggiore responsabilità sociale e civile e l’invito al “parricidio” (che significava in sostanza rivolta dei giovani, reduci di guerra, contro i padri, che quella guerra avevano voluto) le poesie di Brecht si caratterizzano per un’attenzione allo stato di miseria e di degrado in cui vive il popolo contadino e il proletariato metropolitano, a quelle situazioni estreme di emarginazione (alimentata dalle letture di Villon e dei simbolisti francesi), e infine a quella riduzione in schiavitù provocata dal mercato internazionale, dagli interessi esosi delle banche estere che manovravano gli stati così detti sovrani. Come su una barca che va alla deriva (Das Schiff, La nave o Ballade von den vielen Schiffen, Ballata su molte navi), ormai sembra non esserci tempo per volgersi indietro e guardare – oltre il fumo acre sollevato dalla guerra, oltre le tenebre che si addensano fra tensioni e rivolte sociali – all’età più vitale e spensierata dell’uomo, a quella giovinezza che talvolta prende la semplice forma di un bacio con una ragazza, di cui non è scomparso il ricordo, non perché quel bacio riassuma esemplarmente il significato di una storia conclusa, segnando la formazione interiore del poeta, ma perché esso avvenne allorché in cielo trascorreva rapidamente una nuvola (che a più lettori avrà richiamato la «grigio-rosea nube» dell’Esterina montaliana).
La ricca simbologia con cui la nuvola, sospesa tra terra e cielo, ovvero tra mortalità ed eternità – simbolo di una Storia che stava minacciosamente fagocitando ogni atto creativo, libero dalle vessazioni del profitto, e di una giovinezza che si presentava agli occhi di chi ricorda come qualcosa di passeggero e irripetibile – entra nell’attimo del bacio confondendo a distanza di anni il poeta, il quale dirotta il lettore dal discorso amoroso alla visione naturale, permettendoci di comprendere un tratto non ignorabile del Brecht maturo, il quale si sarebbe posto nei confronti della storia con l’animo di chi sa di non poter fare a meno (così come succede solo ai veri poeti) dell’“esca” lirica. A proposito mi piace citare un testo di qualche anno dopo, Brutti tempi per la lirica, in cui Brecht mette a fuoco, in esilio, l’impossibilità di cantare con il cuore felice («Lo so: piace soltanto / chi è felice. La sua voce / volentieri si ascoltata…»), e quindi la crisi di ispirazione («Nel mio canto una rima / mi parrebbe quasi insolenza…») divisa tra «l’entusiasmo per il melo in fiore / e l’orrore per i discorsi dell’Imbianchino», là dove è il secondo a spingerlo al lavoro. Eppure, il poeta non finirà di esplorare quella che appare la tensione in lui più forte, puntando all’immagine allegorica, sollecitata dalla puntigliosa osservazione della natura, per cui qualsiasi albero (un susino, un melo, un albicocco, un ciliegio ecc.) sembra prestare al poeta le parole giuste per un confronto ravvicinato con la storia e con le tragiche contraddizioni che l’hanno dilaniata, così come avviene in Primavera 1938, Il pioppo di Karlsplatz, Il giardino dei fiori, e in altri testi, e in particolare in Dell’innaffiare il giardino, che sembra chiosare la celebra pagina finale del Candido di Voltaire («Il faut cultiver notre jardin…»), spingendo però lo sguardo oltre la concisa e lucida descrizione di questo idillico spazio interiore – dal quale riparte ogni seria intentio rivoluzionaria – nel rapporto ecologico che il poeta intrattiene con i silenziosi abitanti del pianeta verde (alberi, cespugli, siepi, fiori, erbacce ecc.), e quindi con la stessa «terra nuda» all’interno del quale trova senso tale quadro. Come la nuvola nel Ricordo citato sopra, così in altri componimenti (non andranno dimenticati piccoli capolavori come La parabola di Budda sulla casa in fiamme, Il sandalo di Empedocle, Leggenda sull’origine del libro Taoteking, in cui prende forma la dimensione narrativo-visionaria di Brecht) si delinea una precisa continuità stilistica tra la vocazione lirica e l’urgenza politica contro le ingiustizie, le prevaricazioni, gli inganni ecc., che ritrovano una loro nuova unità congiungendosi come nel sinolo di yin e yang, i due contrari che, anche nel respingersi, come il giorno e la notte non possono fare a meno l’uno dell’altro.