Analisi del voto post-ballottaggi
Nelle ultime elezioni comunali, soprattutto dopo i tanti ballottaggi, si dimostra vera l’ipotesi attribuita a Hanspeter Kriesi, in un suo saggio del 2006, Globalization and the transformation of the national political space, six European countries compared, un lavoro che apparve nell’European Journal of Political Research. In quel saggio, il politologo svizzero sosteneva che la globalizzazione è una “frattura” stabile e definitiva, come quelle che hanno caratterizzato lo spazio politico europeo per secoli, e quindi funziona come divisione esplicita tra elettori; ma soprattutto – non sembri un paradosso – proprio sul piano nazionale, separando i perdenti e i vincitori del fenomeno globalizzante, sia sul piano culturale-simbolico che su quello economico.
Molti sondaggi ci dicono che i temi più importanti per i cittadini (il CISE della Luiss ne ha calcolati 22) sono condivisi. Sulla lotta alla disoccupazione, criterio prioritario per il 93% degli elettori, la credibilità del 5Stelle è 25/30, di Forza Italia del 21/10, del PD 21/14. Sul buon funzionamento della sanità, il secondo tema che sta a cuore a tutti gli elettori italiani, con un valore del 92%, i 5Stelle sono credibili per il 21/23, il PD al 18/14, Forza Italia, per il 17/10.
Dei 22 temi condivisi da tutti gli elettori italiani a 14 l’elettorato attribuisce un valore superiore all’80%, mentre a 5 attribuisce una rilevanza superiore al 90%. In Germania, invece, i temi condivisi da tutti gli elettori sono solo 14, di cui appena 2 sono le richieste con priorità superiore all’80%.
Comunque, in Italia, è in atto una trasformazione radicale del voto. Il PD, per esempio, viene votato dal 13,1% degli operai, dal 19,4% del ceto medio-basso, dal 18,3% nella classe media ma, soprattutto, dal 31,2% nel ceto medio-alto. Viene in mente una vecchia commedia di Dario Fo: “Tutti uniti, tutti insieme! Ma scusa, quello non è il padrone?”.
Dall’analisi dei flussi dei passaggi tra una lista e l’altra, si verifica inoltre che il maggior passaggio di voti, prima del PD, verso i nuovi partiti popolari (Lega e 5Stelle) è stato proprio nelle fasce basse e medio-basse del tradizionale voto al Partito Democratico. Il ritorno del voto di classe, quindi, ma a ruoli rovesciati: la destra popolare (altri sbagliando la definirebbero populista) che si prende la rappresentanza della nuova unione di ceto medio e classi povere, mentre i partiti che hanno puntato tutto su temi lontani dalle richieste di questi ceti, come l’innovazione tecnologica, i nuovi diritti, la difesa del sistema pensionistico attuale, si trovano da soli il loro naturale elettorato di riferimento: i ricchi.
Nei ballottaggi ultimi, comunque, il vantaggio del centrodestra è aumentato, 26 a 19, il che ha determinato l’esito finale di 42 vittorie a favore del centrodestra di contro alle 31 del centrosinistra.
Le cause sono note: peso soggettivo e storico-locale dei singoli candidati, che molto conta nelle elezioni locali, una efficace propaganda elettorale nella fase finale della campagna, l’effetto, inevitabile, di trascinamento del governo centrale.
I ballottaggi, peraltro, avevano sempre sfavorito il centrodestra, visto che manca il traino del voto di preferenza ai singoli consiglieri, sempre determinante nelle liste del centrodestra. Se prima dei ballottaggi 2018 la coalizione post-berlusconiana governava solo una città (Teramo) mentre la sinistra era al comando in 15, oggi siamo a 10 per il centrodestra contro le cinque del centrosinistra. Il centrodestra ha vinto 26 ballottaggi, ma era presente come tale in 59 circoscrizioni alla seconda votazione, con una media quindi di meno del 50% dei successi sulle presenze di lista; mentre il centrosinistra competeva in 43 città, con 21 dal primo voto, vincendo solo in 19. Simile percentuale, comunque, rispetto al Centrodestra.
Due comuni su tre sono vinti, alla fine, dalle tradizionali coalizioni, centrodestra e centrosinistra, mentre erano 3 su 4 nelle precedenti elezioni. Ma, in questa crisi del voto locale bipolare, non si inserisce oggi il MoVimento5Stelle, che vince in cinque città, mentre lo spazio lasciato libero dai due tradizionali competitori è oggi appannaggio, in gran parte, dei candidati civici, che vincono in 20 città, contro le 13 delle precedenti elezioni comunali.
I candidati civici vincono soprattutto al Sud, con 17 successi finali, mentre la sinistra a sinistra del PD ricava, oggi, ben 6 vittorie, il doppio che nelle precedenti elezioni comunali, ma solo 3 vittorie sono arrise alle coalizioni di solo centro, con una sola vittoria della destra-destra, a Cisterna di Latina e a Ragusa, ma già al primo turno.
Centrodestra e centrosinistra si sfidavano direttamente in 33 città, con il centrodestra in vantaggio in 18, contro le 15 a maggioranza iniziale per il centrosinistra. Ma il Centrodestra ha sofferto maggiormente la concorrenza dei candidati civici, su 15 città dove c’era questa lotta, al ballottaggio, il risultato è stato di 10 a 5 a favore dei civici. I 5Stelle hanno vinto 5 ballottaggi su 7, ma nel 2016 i 5Stelle avevano conquistato ben 18 città su 20 e nel 2017 8 su 10.
Dopo queste elezioni del 2018, comunque, la vittoria è netta per il centrodestra (14 a 9 nel Nord e perfino 8 a 6 nella fascia ex-rossa del Centro), anche se il Sud sperimenta un nuovo multipolarismo, con sole 33 su 66 città vinte da uno dei due schieramenti tradizionali, mentre i candidati civici conquistano 17 città meridionali.
Sul piano demografico, il centrodestra diviene la coalizione numericamente maggioritaria, con una avanzata più sensibile nei comuni di medie dimensioni, dove amministra oggi 9 città, mentre il centrosinistra crolla da 13 a 6 nei comuni di medie dimensioni.