La politica senza Platone
Sarà stato il sentimento di rigetto nato con tangentopoli, poi la globalizzazione, infine internet ed i social, ma, in politica (e non solo, ma è sulla politica che voglio soffermarmi), si è assistito e si assiste ad un imbarbarimento inquietante del linguaggio, quindi dei comportamenti. Ed è un fatto rilevante per la stessa qualità della democrazia. Ecco perchè voglio tornare di nuovo sull’argomento, scavandone ancora un pò le radici e le “ragioni”. Se un tempo nella politica il linguaggio era tecnica, strumento, addirittura arte, oggi è ridotto a battuta che semplifica e demolisce. Da Berlusconi, passando per Renzi (un vero e proprio salto di qualità comunicativa), fino a Salvini e Di Maio, e d’intorni, il confronto fra le forze politiche si è ridotto al motteggio fra “leader” e, nel motteggiare fra singoli (o a difesa del singolo leader, con vere e proprie claque organizzate), all’argomentare sulle scelte, si è privilegiato, e si privilegia, il dileggio sulle qualità dell’altro, ci si sofferma sulle caratteristiche addirittura somatiche dell’avversario; così abbiamo ascoltato di lotte fra sostenitori del bene, contro quelli del bene (una sorta di epica pacchiana e sdolcinata), di invidiosi contro generosi, di uomini e donne da “rottamare” come fossero pezzi di auto consumate, di gufi o rosiconi, di vaffanculi e di buonisti. Un vocabolario rozzo e vuoto, che serve al consenso del momento, dell’ora e del giorno, che semplifica e non coglie, non può cogliere, la complessità del mondo, la trama intricata dei problemi. Al processo di semplificazione dei linguaggi ha certo ulteriormente contribuito l’avvento dei social, che hanno del tutto sostituito l’argomentare (già impoverito dalla mancanza di idee) con la comunicazione (o meglio con il bisogno spasmodico di comunicare) che, nella piazza digitale, deve essere breve, immediata, efficace. Ormai non si cerca di far conoscere un pensiero, ma si ricerca la battuta che stia dentro un tweet o un post e poi si propaghi sui giornali e sui tg della sera. Così la politica è stata svuotata delle idee, che sui binari digitali sono troppo “pesanti”, potrebbero impallare computer e smartphone. Eppure, da Platone in poi, oltre che vissuto il mondo deve anche essere pensato. La politica è nata proprio come il luogo in cui si pensa il mondo e, allo stesso tempo, come lo strumento attraverso cui si cerca di cambiarlo. Invece, in questi tempi veloci, la “caverna” sembra non riverberare ombre, appare buia e senza uscita. Non è forse un caso se, oggi, almeno in Europa, è Angela Merkel l’unica esponente politica che, piaccia o non piaccia, tra contraddizioni e limiti, resta però al Governo di un paese avanzato. Qualcosa probabilmente c’entra il fatto che l’anziana ed austera cancelliera tedesca proviene da un solido ed antico partito, incline al pensiero ed al progetto, con i tempi ed i riti che la costruzione di progetti e di classi dirigenti si portano dietro. Probabilmente anche quella stagione è destinata a finire, ma personalmente non credo ci sia possibilità di governare, senza che si torni al pensiero pensato e ad un linguaggio che rappresenta, motiva e spiega prima di “comunicare.