15 Novembre 2024
Sun

Sophie Curzon Siggers, Piccoli battesimi, Coazinzola Press 2017, pag. 58, € 10,00

 Non è facile elaborare uno strappo inatteso e feroce. Non basta la vita che ci rimane. Passano gli anni, gli oggetti di cucina tornano al loro posto: “le tazze/ grandi  da cui bevevamo/ il tè nero tutte le mattine!…il tuo orsetto marrone,/pensionato da sedici anni,/ è tornato pure/lui a letto”. E’ una morte domestica che il cuore non può accettare, può solo tentare di convivere con essa.

Vita è precarietà, “un lumino/tenuto tra le mani/del vento”, tutto si riduce ad “una vela di vita tra le dita” ed i presagi si leggono solo troppo tardi. Nella consapevolezza che il rapporto si costruisce in due, è pesante tollerare l’assenza, invano si cercano le impronte del passato a colmarla.

L’acqua è un elemento trasversale alla raccolta di Sophie Curzon Siggers, del resto rimanda all’acqua il titolo stesso, Piccoli battesimi. Torna come simbolo di lavacro dal dolore, ma all’acquaio è legata un’immagine fondamentale: “tu la rottura/ del cucchiaio di porcellana/ nell’acquaio. Io il tirare fuori/ qualcosa dal forno./ io il farcelo rientrare. ripeto/ la morte/ domestica.

 

L’acqua è comunque vita e le si affida un’ipotesi, tanto irrealizzabile quanto agognata: “se le braci fossero/ intonaco in polvere/ basterebbe aggiungere/ acqua per ricostruire/la nostra vita”.

Per fortuna “la lingua racconta il corpo” ed in qualche modo una presenza si ricompone e un po’ il dolore si allevia. Con la parola si ricostruisce un legame indistruttibile, infatti “nella morte/ siamo insieme. ci riconosciamo/ con nomi immediati,/ quelli raccolti nella perdita/ durante la vita”.

La vita che continua o che è già stata fuori di noi, va raccontata agli assenti per tenere saldo il filo che ci unisce, in modo che “il flusso di parole e il parto delle stesse/ sia rinascere tutti i giorni/ in miniatura”

Per Sophie Curzon Siggers, poetessa artista australiana che si esprime perfettamente sia in italiano che in inglese, “parlare/ è sempre un atto di creazione” che diventa indispensabile per lei, perché è dare di nuovo la vita -piccoli battesimi- attraverso la parola.  Crea con le parole, anche in una lingua estranea: ”sono migrante in bocca,/ la lingua/ si posa e nuota nei suoni/ da altrove.”

 

Creatura di mare che ha scelto la terra, consapevole comunque che “dal mare / veniamo, e ci torneremo”, la poetessa porta nei suoi versi la concretezza delle immagini. Sono pinne, acqua salata, sono zampe di lepre ed ostriche grulle, sono gatti e conigliere, sono pesci-piedi e lucciole, sono pellicce, sono pecore bianche ed agnelli, tutti affettuosamente o simbolicamente afferenti al quotidiano di una vita interrotta.

Se si riconosce ora creatura di terra, il mare rimane tuttavia l’amore indiscusso, la sensualità femminile, la rinascita: “da sotto il mare sbuccia le mie pinne/ a lungo rese ruvide/ dalla terra. Il semplice/ bagnare  un rinascimento/ il liscio mare / mi cinge la carne.”

Nonostante tutto la vita è molteplicità, emozioni e bellezza: “sia un bagno nella vasca/ sia una tempesta/ sia te al lago inzuppata nelle lingue/ dello spirito santo/ sia una bottiglia di vino scoppiata/ addosso a  te/ sia nuotare nuda per la prima volta/ nel fiume che viene dritto dalle montagne”, e va colta e fissata -la vita- in ogni sua manifestazione: si attende comunque il semi-letargo invernale, quando la luce ferisce di meno, per scendere dentro se stessi. E “la lingua tra denti-panche/ si riposa all’italiana”.

Marisa Cecchetti

Marisa Cecchetti vive a Lucca. Insegnante di Lettere, ha collaborato a varie riviste e testate culturali. Tra le sue ultime pubblicazioni i racconti Maschile femminile plurale (Giovane Holden 2012), il romanzo Il fossato (Giovane Holden 2014), la silloge Come di solo andata (Il Foglio 2013). Ha tradotto poesie di Barolong Seboni pubblicate da LietoColle (2010): Nell’aria inquieta del Kalahari.