Sophie Curzon Siggers, Piccoli battesimi, Coazinzola Press 2017, pag. 58, € 10,00
Non è facile elaborare uno strappo inatteso e feroce. Non basta la vita che ci rimane. Passano gli anni, gli oggetti di cucina tornano al loro posto: “le tazze/ grandi da cui bevevamo/ il tè nero tutte le mattine!…il tuo orsetto marrone,/pensionato da sedici anni,/ è tornato pure/lui a letto”. E’ una morte domestica che il cuore non può accettare, può solo tentare di convivere con essa.
Vita è precarietà, “un lumino/tenuto tra le mani/del vento”, tutto si riduce ad “una vela di vita tra le dita” ed i presagi si leggono solo troppo tardi. Nella consapevolezza che il rapporto si costruisce in due, è pesante tollerare l’assenza, invano si cercano le impronte del passato a colmarla.
L’acqua è un elemento trasversale alla raccolta di Sophie Curzon Siggers, del resto rimanda all’acqua il titolo stesso, Piccoli battesimi. Torna come simbolo di lavacro dal dolore, ma all’acquaio è legata un’immagine fondamentale: “tu la rottura/ del cucchiaio di porcellana/ nell’acquaio. Io il tirare fuori/ qualcosa dal forno./ io il farcelo rientrare. ripeto/ la morte/ domestica.
L’acqua è comunque vita e le si affida un’ipotesi, tanto irrealizzabile quanto agognata: “se le braci fossero/ intonaco in polvere/ basterebbe aggiungere/ acqua per ricostruire/la nostra vita”.
Per fortuna “la lingua racconta il corpo” ed in qualche modo una presenza si ricompone e un po’ il dolore si allevia. Con la parola si ricostruisce un legame indistruttibile, infatti “nella morte/ siamo insieme. ci riconosciamo/ con nomi immediati,/ quelli raccolti nella perdita/ durante la vita”.
La vita che continua o che è già stata fuori di noi, va raccontata agli assenti per tenere saldo il filo che ci unisce, in modo che “il flusso di parole e il parto delle stesse/ sia rinascere tutti i giorni/ in miniatura”
Per Sophie Curzon Siggers, poetessa artista australiana che si esprime perfettamente sia in italiano che in inglese, “parlare/ è sempre un atto di creazione” che diventa indispensabile per lei, perché è dare di nuovo la vita -piccoli battesimi- attraverso la parola. Crea con le parole, anche in una lingua estranea: ”sono migrante in bocca,/ la lingua/ si posa e nuota nei suoni/ da altrove.”
Creatura di mare che ha scelto la terra, consapevole comunque che “dal mare / veniamo, e ci torneremo”, la poetessa porta nei suoi versi la concretezza delle immagini. Sono pinne, acqua salata, sono zampe di lepre ed ostriche grulle, sono gatti e conigliere, sono pesci-piedi e lucciole, sono pellicce, sono pecore bianche ed agnelli, tutti affettuosamente o simbolicamente afferenti al quotidiano di una vita interrotta.
Se si riconosce ora creatura di terra, il mare rimane tuttavia l’amore indiscusso, la sensualità femminile, la rinascita: “da sotto il mare sbuccia le mie pinne/ a lungo rese ruvide/ dalla terra. Il semplice/ bagnare un rinascimento/ il liscio mare / mi cinge la carne.”
Nonostante tutto la vita è molteplicità, emozioni e bellezza: “sia un bagno nella vasca/ sia una tempesta/ sia te al lago inzuppata nelle lingue/ dello spirito santo/ sia una bottiglia di vino scoppiata/ addosso a te/ sia nuotare nuda per la prima volta/ nel fiume che viene dritto dalle montagne”, e va colta e fissata -la vita- in ogni sua manifestazione: si attende comunque il semi-letargo invernale, quando la luce ferisce di meno, per scendere dentro se stessi. E “la lingua tra denti-panche/ si riposa all’italiana”.