Francesco Margani, Nell’ora chiara che tutto accoglie, Controluna, Roma 2018, pagg. 72, 9,90 euro
Si arriva a un’età in cui serve togliere più che mettere. Francesco Margani a sessant’anni coglie esattamente la linea d’ombra, il passaggio all’essenziale, e la inonda di luce con questa sua nuova raccolta di poesie che sono un bilancio, quello di una vita.
Con la sua ritrosa vitalità il poeta coglie nella natura il germe infinito della riproduzione basilare dell’esistenza e le sue liriche sono un compendio di insetti, uccelli, fiori, alberi. Qui, dentro a questa raccolta, si nomina la natura, la si evoca, la si rende vivida agli occhi del lettore, in quanto essenza del Mondo. Come un apostolo lucreziano Margani intuisce che solo nel persistere di certe presenze e di lente evoluzioni biologiche si fonda il nostro esserci. E tutto il resto, le mode, la tecnologia, le auto, le sedie capovolte, gli aperitivi, i flash improvvisi della popolarità o del progresso, non sono che chimere infauste e pericolanti, che manifestano con la loro inusitata arroganza l’insensatezza del quotidiano. Non c’è romanticismo, piuttosto una lucida ragione illuministico-siciliana: la coscienza antica del valore dei fatti veri, la competenza di andare alla sostanza delle cose.
Soltanto tra gli sterpi, nei campi, sul mare spazzato dal vento, è la vita, quella che conforta e quella che addolora. Solo nel corso delle stagioni dal secco all’umido delle cose più vicine al tempo biologico, invece che a quello storico, sta il segreto della vita vera.
Ecco qui un esempio: “Una calma estrema percorre gli alberi,/cerco negli occhi di un cane il lasciapassare/per iniziare a smussare la siepe/e i filari dei fichidindia./Le formiche nei gusci delle noci/indugiano prima di iniziare i lavori,/sentono la rugiada che sta per abbattersi,/conoscono i codici invisibili del meteo”.
Il titolo della raccolta, Nell’ora chiara che tutto accoglie, è molto evocativo, ma non si capisce perché il verso che lo ispira non sia lo stesso, mutando l’ora in voce (il verso a pagina 62, infatti, dice: “nella voce chiara che tutto accoglie”) – sarebbe stato più forte fosse stato lo stesso verso, quello della poesia o quello del titolo.
Ma la raccolta del poeta siciliano (che vive in Lombardia) non si limita a risolvere nella natura le coordinate dei suoi segni. Si raccoglie in queste pagine un altro dei temi cari a Margani, vale a dire la memoria. La sua non è una memoria sociale, come molti poeti “impegnati” amano discutere. La sua è una memoria individuale, fatta di utensili del padre, di torrenti dove si faceva il bagno da ragazzi, di corse scalzi per i campi. E la lettura scopre una genuinità reale e non una facciata idealizzata (o peggio ideologizzata) del “valore della memoria”. Sono commoventi i passaggi in cui si pensa al padre che torna in garage dopo morto, di tanto in tanto. E questa è forse la più bella poesia della raccolta: “Guardo con i miei occhi infantili/la piana coperta di fiocchi, non è neve ma cotone./Chini con i sacchi a strascico, è il tempo della raccolta,/uomini cotti dal sole fumano trinciato/rollato sul palmo della mano./Nel canale d’irrigazione nuoto nel trasporto/della corrente, ritorno scalzo seguendo/la condotta, il cane corre avanti e abbaia/se per un istante rallento il passo./Ora tutto è polvere e ombra./Cerco il tesoro dei cretesi sbarcati/millenni avanti Cristo e lasciato in dote./Oh Terra! Oh Terra! Libera la musica/dalle crepe, dai fossati e dagli anfratti/e da questa enorme conchiglia capovolta.”
Nella nota finale l’autore precisa che questa raccolta tiene insieme una scelta di liriche che coprono un trentennio di lavoro intorno alla poesia. Si sente e si percepisce il lavoro di scelta e la struttura definitiva e necessaria che tiene in piedi questo libro: il meglio della poetica marganiana.