Roque Dalton: «La poesia è di tutti»
Como tú
Yo, como tú,
amo el amor, la vida, el dulce encanto
de las cosas, el paisaje
celeste de los días de enero.
También mi sangre bulle
y río por los ojos
que han conocido el brote de las lágrimas.
Creo que el mundo es bello,
que la poesía es como el pan, de todos.
Y que mis venas no terminan en mí
sino en la sangre unánime
de los que luchan por la vida,
el amor,
las cosas,
el paisaje y el pan,
la poesía de todos.
Come Te
Io come te
amo l’amore,
la vita,
il dolce incanto delle cose
il paesaggio celeste dei giorni di gennaio.
Anche il mio sangue ribolle
e rido dagli occhi
che hanno conosciuto il germoglio delle lacrime.
Credo che il mondo è bello,
che la poesia è come il pane,
di tutti.
E che le mie vene non finiscono in me,
ma nel sangue unanime
di chi lotta per la vita,
l’amore,
le cose,
il paesaggio e il pane,
la poesia di tutti.
Credo che non si possano e non si debbano spendere troppe parole per un poeta come Roque Dalton García, nato a San Salvador nel 1935 e morto a Quezaltepeque nel 1975. Un poeta che ha dato la sua vita per una causa in cui era in gioco una società più libera e giusta, e ha fatto della sua poesia non un semplice strumento di celebrazione umanistica o di riflessione intellettuale (come è pure, a volte, opportuno fare) su un evento di cronaca o della storia, ma un momento di condivisione con quanti, come lui, sono impegnati a scrivere un capitolo nuovo nel presente. A distanza di tanti anni cosa resta? Il capitolo nuovo è rimasto incompiuto, e il poeta è stato ucciso per mano dei suoi stessi compagni che lo ritennero (a torto) una spia americana: a noi oggi, dunque, non restano che le poesie. Non molte, certo, considerato che Roque Dalton morì a soli quarant’anni, ma tutte così forti da non lasciare scampo a quel margine “letterario” che connota, in misura diversa a seconda della personalità di chi scrive, il genere della così detta poesia “impegnata”. Perciò ho scelto – da una piccola ma preziosa raccolta di poesie a cura di Gianni Darconza, Poeta non fare il coraggioso (Raffaelli, Rimini 2018) – uno dei testi più esemplari, a mio parere, non solo per le idee che propugna, là dove afferma senza esitazioni (e siamo in anni convulsi, in piena ebollizione rivoluzionaria, fra tiranelli fantocci manovrati dalla CIA e brividi di guerra fredda) l’importanza di superare il bivio fra l’appartenenza o la “dis-appartenenza” (persino quella che in forme più sublimi, e talvolta subliminali, da Beckett a Montale, fra gli anni Sessanta e Settanta, si andava affermando nell’imborghesito vecchio continente, allorquando l’America Latina provava a riconquistare la sua dignità contro il neocolonialismo yankee) – dico, superare questo bivio in nome di qualcosa di più alto e vero, che sembra sgocciolare dai versetti di un apocrifo, ma non pertanto meno autentico, Cantico dei cantici: «Yo, como tú, / amo el amor, la vida, el dulce encanto / de las cosas, el paisaje / celeste de los días de enero…».
In fondo all’impegno rivoluzionario di Roque Dalton vi è l’amore? Non è nella tana calda del suo “cuore” che ciascuno di noi può conservare, contro i dolori e le assurdità della storia, l’intima convinzione che «el mundo es bello», e che – valga non solo per chi si dedica alla scrittura – «la poesía es como el pan, de todos»? Che non si tratti del solito vano e vacuo appello alle ragioni di quel «vil muscolo nocivo» (come lo chiamò una volta Carducci, bersagliando il malcapitato De Amicis), può provarlo la terza strofa, in cui il poeta ci fa capire che il cuore non è una banale metafora: «Y que mis venas no terminan en mí / sino en la sangre unánime / de los que luchan por la vida…». Il cuore è l’organo muscolare cavo che pompa sangue in tutto il corpo, e il sangue è quello che versano davvero coloro che lottano per degli ideali che superano l’orizzonte di un individuo o di una tribù o di un popolo o ancor più di una classe, che pretende di essere il centro del mondo – in altre parole, non coincidono con il perimetro di un io o di un noi dimentico di appartenere al genere umano – proprio in virtù quel nuovo sentimento di “appartenenza” che ci affratella, oltre a liberarci e a renderci uguali. Il rimando al messaggio mai pienamente attuato della rivoluzione francese credo che non si scompagni da un altro meno à la page, che è alle radici di una tradizione umanistica che ha attraversato tutta la storia dell’Occidente, vivificando finché ha potuto l’élite intellettuale e politica. Potevamo cercare, al limitare del 2018, un altro messaggio da portarci nel nuovo anno? Altri versi da questi, già pronti a scomparire nel baccano mediatico di una società che frulla ogni buon proposito in un Mercato sfarzoso e seducente, per meditare sui nostri limiti? Sì, certo, ma la voce nascosta, e ora meritamente riportata alla luce, di Roque Dalton forse ci aiuta a comprendere che anche la verità, come la poesia, come il pane, è di tutti.