19 Dicembre 2024
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Giulio Di Fonzo, Poesie (1992-2018), edizionicroce 2018, pag.148, € 16,00.

Ci immergiamo nella luce poi all’improvviso nel buio; nella gioia e all’improvviso nella sofferenza, nel silenzio e nel grido (il mio grido che fende la calma/come fiamma bruciante sul mare),  con le Poesie di Giulio Di Fonzo: c’è un contrasto costante di immagini e stati d’animo, e l’ossimoro spesso lo sottolinea.
Immagini che restano indelebili sono quelle di un giardino carico di fiori, di un luogo verde di piante, che accompagnano i momenti di gioia anche quando sono diventati un ricordo; fiori e piante che sono ancora lì, mutando col volgere delle stagioni, ma comunque fedeli e splendidi.

La donna amata ritorna costante nei versi: “Nella notte del mondo/il tuo amore illumina un sentiero/ Io solo conosco il tuo splendore,/gioiello incastonato nella notte/ rosa che divampa da quel nero”. L’assenza è attesa paziente e dolore; tuttavia lei è riflessa nella bellezza che ha diffuso intorno, ed è fissata stilnovisticamente nella luce dello sguardo: “tanto con sguardo di luce ti volgi”.

L’amore rimane fondamento dell’esistenza: “L’inverno è spoglio, il fiume ghiaccio/e avana scorre rapido alla foce,/ma c’è nel giorno quel canto d’amore,/spinta di vita”. E’ un amore che unisce tutti gli esseri viventi, uomini, animali e piante, che fa respirare all’unisono con il creato e  percepire anche la precarietà della foglia e l’infinito patire di ogni essere vivente: “anche il fiore è un miracolo che sfuma nella cenere”. Fa sentire fratello l’albero che muta col passare delle stagioni: “dolce fratello che perdi le ali/tutti i giorni un poco”.

La raccolta copre un arco di tempo lungo – un lungo tratto del corso del fiume – che contempla ostacoli, perdite, lacerazioni, trasformazioni, rinascite: “il fiume ha tante vite e tante morti” fino a riconoscere che  la vita è “un tremito di stella” e “un grido alto nel sole”. Si fa sempre più evidente la consapevolezza del tempo che incalza e l’attenzione si volge ad una dimensione ultraterrena: “Nel vuoto interstellare/poter ritrovare la mia vera vita/riportarla in questo vasto mondo/mentre mia madre mi aspetta serena,/sulla soglia limpida/risorta”.

Ma ciò che resta al di sopra di tutto, quando si arriva all’ultima pagina –Radioso mattino. Diffuse/di luce acque cullate./E del mare placato la gran quiete –, è la consapevolezza di aver fatto un percorso nella bellezza: è colta in ogni elemento del  creato, nei fiori, nelle piante, nel canto degli uccelli, nelle albe, nei tramonti, nella luce  e nel buio,  nella notte  piena di echi e di stelle, nella luna e nel mare. Non la bellezza oggettivamente descritta, come fotografata, bensì quella percepita, capace di suscitare emozioni profonde, individuata in ogni elemento ed in ogni momento dell’esistenza, compreso il dolore.

Proprio questa possibilità di riconoscere la bellezza che ci è stata concessa  diventa elemento salvifico. Se non si possono evitare la sofferenza, l’assenza, il distacco, il vuoto, se si cerca la pace, non è solo il calar della sera che  porta la pace,  bensì la contemplazione della bellezza: può essere la luna che non ti lascia solo, anche nelle notti gelide: ”La luna stanotte è un asfodelo/il cielo un quarzo irrigidito/sepolti nel gelo gli alberi spogliati”. O la vastità del mare, “giardino di fiori bianchi”, che regala “estasi e quiete”.  Bellezza è ciò che non finisce mai di stupire, consola e porta l’innalzamento dello spirito.

I versi -prevalentemente endecasillabi- di Giulio Di Fonzo, docente di letteratura italiana moderna e contemporanea all’Università di Tor Vergata, scorrono musicali e fluidi, creando sonorità, evocando odori e  colori: “E verso sera al crepitio dei fuochi/fuori del lago lungo fitte siepi,/non so se farfalle o petali di fiori”; con l’allitterazione che diventa sonorità :“azzurrina e sonora un’onda s’alza/ s’increspa, s’incorolla, splende”.

Tra i molti rimandi letterari sono chiaramente riconoscibili Petrarca, Leopardi, Carducci, Montale. Ma c’è anche l’eco dei baci catulliani: “ai miei piccoli baci tu sorridi/vacilli un poco e ti ritrai”. Insieme a evocazioni di bellezza classica, come il nascere di Venere dall’onda: “Io attendo da quell’empito la grazia,/la viva tua rinascita da un’onda”.

Marisa Cecchetti

Marisa Cecchetti vive a Lucca. Insegnante di Lettere, ha collaborato a varie riviste e testate culturali. Tra le sue ultime pubblicazioni i racconti Maschile femminile plurale (Giovane Holden 2012), il romanzo Il fossato (Giovane Holden 2014), la silloge Come di solo andata (Il Foglio 2013). Ha tradotto poesie di Barolong Seboni pubblicate da LietoColle (2010): Nell’aria inquieta del Kalahari.