Leopardi, sempre caro mi fu questo cibo…
Tagliolini, maccheroni, gnocchi, “ravaiuoli”… No, non è il menù di giornata proposto da una tavola calda del Sud Italia, bensì parte dell’elenco dei cibi più graditi da Giacomo Leopardi. Quando Antonio Ranieri convinse lo storico amico a trasferirsi a Napoli, l’approccio al cibo del poeta cambiò radicalmente: in pratica si riscoprì un buongustaio. Merito forse di Pasquale Ignarra (cuoco di casa della corte napoleonica), oppure della cucina di strada e dei sapori autentici che siamo soliti riscoprire nei luoghi di mare? Fatto sta che Napoli ha ispirato Giacomo Leopardi a scrivere la lista dei 49 alimenti da lui più desiderati, gelosamente custodita nella Biblioteca partenopea.
Guardando questo elenco non possiamo fare a meno di fare due considerazioni importanti:
- La prima è che la maggior parte degli alimenti della lista siano poco adatti alla dieta di un uomo dalla salute cagionevole come quella di Giacomo Leopardi, considerata la dominante predilezione per i fritti, la pasta ripena, i dolci e gli intingoli. Possiamo però passare sopra queste mancanze date le scarse nozioni di nutrizione clinica vigenti all’epoca.
- La seconda è l’assenza della carne dall’elenco. Vi troviamo qualche frattaglia (cervello e fegatini), prosciutto, polpette non meglio specificate, ma non carne.
Perché la carne non rientra nell’elenco? era un piatto non troppo gradito al poeta? No, Il motivo è banale e non può essere economico: infatti, anche se la carne era all’epoca un alimento molto costoso, sappiamo che Giacomo Leopardi era un uomo facoltoso e non avrebbe avuto certo problemi a munirsi di buone scorte di carni. Semplicemente l’elenco del poeta rispecchia alla perfezione quella che era la dieta dell’epoca: un’alimentazione ricca di carboidrati, dove le proteine derivavano principalmente dalle uova, dalle frattaglie, dai formaggi e in alcuni casi dal pesce.
È impressionante pensare a quanto le nostre abitudini alimentari siano cambiate nei secoli. Se ci pensiamo, Il cibo dà una delle migliori rappresentazioni del cambiamento dell’Italia e degli italiani. Eravamo un popolo che consumava prevalentemente pane e vegetali, dove la carne faceva la sua comparsa (se la faceva) a domeniche alterne: nel primo decennio del secolo il consumo di carne era di appena 15 chili pro capite all’anno contro gli oltre 200 chili di pasta e pane. Negli anni del boom economico improvvisamente il consumo di proteine è salito in maniera esponenziale: la carne da un decennio all’altro anni 60/anni 80 aumenta di ben 20 chili pro capite.
Come sono cambiate le nostre abitudini, allo stesso tempo anche i dati sulla salute nei decenni hanno subito diversi mutamenti. Se da un lato il boom economico ha contribuito a migliorare la vita, allungare l’età media e variare la dieta degli italiani, dall’altro ci ritroviamo con il 59% della popolazione sovrappeso (il 21% considerato obeso dall’OMS). È per questo motivo che è importante imporsi nuovi stili di consumo: numerosi studi ormai confermano quanto l’apporto di proteine animali, quando eccessivo, possa influire non solo sul peso corporeo, ma anche sulla nostra salute. Forse in questo come in altri casi, dare uno sguardo al passato può aiutarci a migliorare il nostro futuro.