Giuseppe Conte
a cura di Roberto Veracini
Una diversa concezione del mondo
Per me fu uno sconvolgimento. Io, formato in una cultura d’avanguardia, con la poesia di Sanguineti e Balestrini, la musica di Cage, la pittura dei concettuali, mi sono trovato a fare da solo… All’improvviso ho trovato questi grandi esempi, questi grandi aiuti, queste grandi porte aperte nei libri, negli autori, da Hillman agli altri, però c’era anche una visione del mondo che cambiava, una visione del mondo radicalmente diversa, in cui davvero quel che contava di più era il tentativo di riconnettersi con delle forze che potrei dire sacrali, se sulla parola non ci fossero dei dubbi. Io sono sempre stato laico, sono stato anche materialista ma, a un certo punto, il bisogno di ascoltare l’anima e di vedere i simboli ti porta al mito per forza. Come fai a togliere dal mondo la sua potenza simbolica?Cade tutto. Diviene tutto insensato. Ecco, una cosa alla quale io mi sono ribellato, come misura delle cose, è il nichilismo soddisfatto, quello che io chiamo il nichilismo senza tragedia: niente ha senso, niente va… Come fa una generazione intera a formarsi, a vivere pensando che niente abbia senso, che il mondo ormai sia a una deriva insensata? Io su quello mi sono ribellato e mi ribello ancora. No, un senso, se non c’è, dobbiamo cercarlo noi. Cioè, la poesia e la letteratura hanno sempre avuto anche questo grande compito di dare una forma all’invisibile e un senso all’insensato. E se fosse vero che il mondo e che la vita nell’universo non hanno senso, ebbene, il compito della poesia, come il compito del mito, è quello di cercarne uno, di donarne uno, di crearne uno. E’ questo.