Stefano Cocco Cantini
a cura di Afo Sartori
Suonatore di sax
Il jazz in Maremma si chiama Stefano “Cocco” Cantini, suonatore di sax (suona come un Dio americano dicono da queste parti) del quale non si capisce mai bene se suona o se sogna con le dita sui tasti dell’argentea pipa. Subìta la, definirei ovvia,influenza di John Coltrane nella formazione e nella scelta del suono e della voce, peraltro bellissima, rifiuta di finire imprigionato in un cliché lasciando ampi spazi all’ispirazione melodica, dove interferiscono i canti delle sue terre, delle sue genti. Già? le sue terre? le sue genti. Vi è nato quaranta anni fa in quel di Follonica, ma dimostra la non età del Peter Pan, di tutti i solenni rifiutatori di farsi adulti. D’altronde non si è mai visto un artista invecchiare, nell’arte non si ha cognizione di vecchiaia, come il Caravaggio che resta nel nostro immaginario (per quanto sconvolto da storie corrusche) l’efebo bellissimo del Suonatore di liuto. I musicisti poi invecchiano meno degli altri, di quanti ne ho conosciuti non ne rammento uno consegnato dalle rughe alla stagione del tramonto, del non ritorno; hanno sempre mani forti, specie pianisti e batteristi, sprizzano gioia vitale da tutti i pori della loro pelle eternamente fresca… quelli che ho avuto modo di frequentare sembra che abbiano in qualche modo fatto un patto col diavolo. Si fatica a pensare a un miracolo. Si fatica meno a pensare che in realtà essi sono posseduti meno dall’ “anarchisme en poète” ch’è un loro tratto cruciale, e bello anche come mestiere scusso scusso. Quel modo di diportarsi tutto ” irresponsabile”, quella sana follia che, forse, salverà il mondo dal grigiume dei savi. Essere artisti significa anche essere un zinzino “folli”. Naturalmente: i folli sono gli unici che hanno scoperto che oltre la elementare verità quotidiana ne esiste un’altra fantastica e liberatoria. E qui pungola qualche analogia col conterraneo ma non coevo “matto delle giuncaie”: intanto se ne rintraccia una prima per così dire zoologica : “il matto era affezionato ad un cane nero che chiamava appunto moro, mentre Cantini ad una vezzosa gattina chiamata Niccolina; invano ho proposto un marriage col mio gatto polvere, sembra ne sia gelosissimo. Ambedue poi sono poeti, sebbene ambedue alquanto sui generis, “il matto” era a quel che si sa del tutto illetterato, probabilmente non ha mai visto una penna in vita sua: sarà la sua stessa vita la poesia più bella.