19 Dicembre 2024
Culture Club

Per la Giornata della Memoria 2019

“Non so cosa mi sia preso”, fu la giustificazione di uno degli assassini. Nessuno sostenne di aver soltanto eseguito gli ordini. Tutti erano coinvolti, tutti furono colti da sorpresa più che da pentimento il giorno successivo, quando si accorsero dell’orrore che era accaduto.

Ci sono le masse rivoluzionarie del proletariato, quelle con la coscienza di classe di cui parla Karl Marx; c’è l’uomo-massa del filosofo spagnolo Ortega y Gasset; c’è la massa che si forma per il timore degli individui di essere toccati individualmente dello scrittore Elias Canetti.
Alla base della formazione di una massa ci sono quasi sempre miseria e paura, due sentimenti che producono inesorabilmente la necessità del nemico. Questi sentimenti possono maturare nel giro di qualche mese in un popolo grande come una nazione con un lavoro di propaganda politica che ripete all’infinito lo stesso messaggio, vero o falso che sia. Oppure possono balzare su all’improvviso in un moto di piazza, in un’ondata violenta di autosuggestione potente e feroce.
La massa quindi si produce in due modi: lentamente o rapidamente.

Del primo caso se ne occupa lo storico americano (dell’Illinois – coincidenza ribaltata per la citazione dal film The Blues Brothers: “ho sempre odiato i nazisti dell’Illinois”) William Sheridan Allen in un libro strepitoso dal titolo Come si diventa nazisti (Einaudi 2005) dove si racconta l’ascesa al potere di Adolf Hitler, avvenuta con un’elezione democratica nel 1933. Non fu una dittatura con la presa violenta del potere, ma una democratica volontà popolare. Per questo motivo Allen non studia i gerarchi nazisti o le mosse strategiche del führer, né i tornaconto politico-economici degli imprenditori e della classe media tedeschi. No, egli si concentra sul paese di Northeim, sulle sue poche migliaia di abitanti e ci racconta come sono diventati nazisti l’operaio della fabbrica e l’impiegato comunale, gente normale che nel giro di pochissimo tempo ha cominciato a non salutare più l’amico ebreo del palazzo accanto. Una sorta di discesa agli inferi rappresentata sull’orlo della normalità collettiva.

Del secondo caso se ne occupa lo scrittore francese Jean Teulé nel succinto, orrorifico e intenso romanzo Vita breve di un giovane gentiluomo (Neri Pozza 2011), dove si racconta la storia di un ragazzo dell’aristocrazia francese di provincia che esce di casa per andare alla fiera di Hautefaye e nel giro di qualche ora, per una cattiva interpretazione di una sua frase, per un errore che rimbalza di bocca in bocca nel popolo del paese, che in quel momento si era riversato tutto in strade per la fiera, viene picchiato, torturato, fatto a pezzi, bruciato e infine mangiato dalla folla.
Un romanzo? Certo, un romanzo, ma non di fantasia. Il libro racconta una storia realmente accaduta il 16 agosto del 1870 nella Francia che aveva visto passare la Rivoluzione del 1789, quella del 1848 e viveva la cosiddetta “epoca dei lumi”, cioè il fondamento dell’Illuminismo e dei concetti di “liberté, egalité, fraternité”.
“Non so cosa mi sia preso”, fu la giustificazione di uno degli assassini. Il giovane gentiluomo uscì di casa per andare alla fiera del paese vicino, dopo qualche giorno sarebbe dovuto partire con l’esercito per difendere la Francia dalla Prussia. Inoltre aveva presentato un progetto per la bonifica delle zone paludose della sua provincia. Un ragazzo che tutti conoscevano, che andava alla fiera per stare insieme ai suoi vecchi amici. L’orrore si scatena in pochi minuti. Il paese di Hautefaye composto da meno di cento abitanti è oggi pieno di quasi mille persone. La popolazione analfabeta, stremata dalla carestia e angosciata dalla guerra contro i prussiani, trova il suo capro espiatorio e individua nel giovane Alain de Monéys, che tutti conoscevano, un prussiano, un nemico, un oggetto da abbattere e distruggere. E così fanno, fino a mangiarlo.
Dopo i fatti terrificanti si voleva abbattere il paese di Hautefaye, si volevano condannare a morte tutti i partecipanti alla violenza di massa (circa 200 persone), si voleva rendere giustizia e riconoscimento al giovane gentiluomo. Ma non accadde nulla di tutto questo. Il paese non fu distrutto, pagarono per la violenza soltanto alcune persone: 4 condannati alla ghigliottina, 9 ai lavori forzati, 8 alla reclusione di pochi anni. Alcuni condannati furono costretti a cambiare nome in quello del giovane, così che i figli degli assassini portarono il nome della vittima. Il 16 agosto 1970 i discendenti della famiglia del giovane gentiluomo e quelli degli assassini parteciparono insieme a una messa in memoria nella chiesa del paese.

Che cos’è stato il nazismo è evidente agli occhi del mondo. Ma chi erano i nazisti è più difficile da mandare giù, è più complicato da dire e soprattutto da accettare.
La maggior parte delle persone “normali”, tipo quelle del paese tedesco di Northeim negli anni tra il 1930 e la fine della seconda guerra mondiale, così come quelle del paesino francese di Hautefaye nel pomeriggio del 16 agosto 1870, direbbero ancora oggi: “Non so cosa mi sia preso”.
Adesso basta non ignorare questo. Avere memoria del passato significa avere coscienza delle proprie azioni per non dover dire un giorno: “Non so cosa mi sia preso”.