ECA e Boccalino
Si chiamava Eca, Ente Comunale Assistenza, rilasciava un libretto nominale che il Comune, appunto, intestava ai più bisognosi. Poche lire per consentire ai poveri di fare la spesa, di portare a casa qualcosa da mangiare. La stagione era di quelle che faceva gola tutto. Due lire per bere un amaro, per un pacchetto di Nazionali senza filtro e per un po’ di pane, qualche carciofo, un cesto d’insalata.
C’erano anche quelli che passavano la mattinata a guardare il pesce sul banco in Piazza. Il pesce spada troneggiava in alto a sinistra, più in basso le acciughe, le sarde e poi le triglie. I polpi si muovevano ancora, i gamberi rossi facevano venire l’acquolina in bocca. Gli scampi sul ghiaccio avevano l’aspetto di chi si lascia mangiare crudo. Poi le cozze, le chiocciole di mare, le vongole veraci e l’arselle. Gli spettatori non davano noia, guardavano senza nemmeno commentare. Ogni tanto qualcuno di loro veniva utilizzato per pulire il pesce e poi ricompensato con una manata di quel che restava.
Un bel giorno dal capannello che di solito restava fuori si staccò il più noto, un leader della vita da poveri, uno bravo ad aiutarsi con qualche imbiancatura o lavoretti da idraulico. Si piazzò di fronte al banco e guardando il pesce ordinò: 6 gamberi, 3 scampi, 8 triglie e una bella sogliola sfilettata “che la dò alla mi’ mamma poverina”. Poi estrasse di tasca il libretto dell’Eca e lo passò a Boccalino, il pesciaio. “Guarda un po’- disse – dovrebbero bastare. Ma a riscuotere vacci te”.Prese il cartoccio e usci.
Non era il reddito di cittadinanza e nemmeno il reddito di inclusione. Erano quattro palanche che spese tutte in una volta resero principe un povero.