Che fine hai fatto, Alberto?
Ci sono più anniversari nel 1979, lettore, di quanti ne possa sognare la tua filosofia. Proprio quarant’anni usciva, dopo lunga gestazione, il primo omonimo LP del miglior cantautore italiano della generazione post-storica. Il disco, in verità della sua lunga gestazione, ha una storia non banale che inizia almeno dai due anni precedenti. Proveniente dall’esoterica ed esotica Domodossola (che esiste, chi scrive ebbe occasione di visitarla), agli studi di Medicina nella già cantautoriale Genova Fortis preferì il tentativo di realizzarsi nella musica in quel di Roma. Nei tentacoli dell’Urbe ebbe i leggendari contatti con Vincenzo Micocci, il talent scout di molti cantautori, che però non giunsero mai a buon fine. Fu Milano, invece, ad accoglierlo, grazie ai buoni uffici di Alberto Salerno, figlio del mitico paroliere Nisa, che poi finirà per produrre il disco di esordio. Per il tramite di Salerno si combinò l’incontro con Mara Maionchi della Polygram, e con Claudio Fabi, e quindi le registrazioni di Alberto Fortis preceduto sul mercato da Milano e Vincenzo, curioso e discusso brano nel quale Fortis metteva in musica il suo contrastato rapporto con Micocci e con Roma, amplificato poi dall’altro brano presente nell’album, A voi romani.
Sontuoso nella confezione, con gli arrangiamenti di Fabi che sicuramente è stato uno dei grandi esponenti di questa arte nella leggera italiana, e il contributo strumentale dell’ispirata PFM di allora al completo, il disco rivela tutto il talento di Fortis, da strutture semplici come quella della Sedia di lillà a ritrovati armonici e melodici più complessi, come nel Duomo di notte o in Sono contento di voi. Il disco si spinse fino ai confini della top ten, pur non essendo di consumo immediatissimo, e fu apripista del gran successo della Grande grotta di due anni dopo.
Il talento di Fortis poi si perse, chissà perché, annegato in varie questioni delle quali difficilmente si verrà mai a capo, non escluso un certo mutamento del gusto che gli anni Ottanta finirono per portare con se privilegiando l’approccio alla Vasco Rossi rispetto alle più raffinate proposte di Fortis. Rimane questo uno dei grandi album della musica italiana, per assemblaggio e interpretazione, immagine di un genio che avrebbe potuto essere e fu solo in piccola parte.