22 Novembre 2024
Sun

Alberto Pozzolini, Vivere. Vento, Edizioni dell’Erba 2018, pag. 240, € 16,00

Una autobiografia dove il protagonista è Velio Musatti, quella di Vivere. Vento di Alberto Pozzolini, di Santa Croce sull’Arno – Pisa, (1933-2017), personaggio poliedrico di grande levatura culturale. Già cronista del Tirreno – allora Telegrafo- nel ’61 molla tutto e va al Nord, dove a Milano diventa capo ufficio stampa del Piccolo Teatro, ai tempi di Paolo Grassi e di Giorgio Strelher; insegna in un liceo nel ’68, è regista, fa televisione, lavora in Pirelli ed in Rizzoli dove partecipa alla stesura della “Enciclopedia”.

Sono tanti i Pozzolini che cercano a fatica di stare dentro le pagine di questo libro che sorprende continuamente perché esce dagli schemi, sia come linguaggio sia come struttura. È un andare dal presente al passato, insieme ad un movimento del cuore tra Toscana e Lombardia, con un tendere costante a Parigi, dove Gallimard è in cima ai suoi sogni.

Passa da queste pagine il mondo degli intellettuali, con la conoscenza diretta di critici, scrittori, giornalisti, ma molto si svela attraverso le straordinarie lezioni agli studenti, ricche di letteratura italiana e straniera, come pure di cinematografia, pittura, musica. Infatti, sotto la denominazione di letteratura, il professor Musatti intende tutto:“libri, cinema, musei, musica, sport, foto, sesso, birra, spaghetti: la vita, insomma.”

Quello che sorprende è il modo leggero, veloce, dialogato, scanzonato, anticonformista, provocatorio, dissacratore di tutto e di tutti, con cui Pozzolini racconta, con cui ricostruisce i contesti, siano essi la Rizzoli, o un circolo culturale, o un bar, o la sua classe.

Ironico ed autoironico come sanno fare in genere i Toscani, è fondamentalmente contro gli intellettualismi e va alla ricerca della vita vera, nel mondo  degli emarginati, delle donne violentate, nelle periferie squallide. Ama le notti trascorse sul tram per Milano, a coglierne il respiro in compagnia di “una folla di pensieri”; ama cercare nel famedio i nomi dei grandi che ci hanno lasciato. Un romantico ed un sentimentale che si sforza  di dimostrare l’opposto.

Ci sono intuizioni geniali, come quella di Musatti gost writer di Trump, che apre a intermezzi surreali e ad altrettanto surreali telefonate notturne dall’America, intermezzi-sfogo che volutamente valicano i limiti della decenza per mettere in risalto la parte più odiosa, razzista, becera di un pensiero ormai abbastanza comune. E dà sfogo ai sentimenti più bassi in modo così esagerato che diventa subito non credibile, e si sente che pensa l’opposto.

Ci sono ritorni ossessivi di sogni che diventano incubi – come quello di uccidere Clint Easthood – e leitmotiv che suonano come una accusa alle Istituzioni:“E di Giulio Regeni non si parla mai in questo libro? No. L’autore è un po’..un po’..”

Pozzolini, alias Velio Musatti, rimane dentro e fuori il romanzo di cui parla mentre è in costruzione: “Parla un po’ di scuola e un po’ no. Un po’ trasgressivo e un po’ no. Un po’ di nomi veri e un po’ falsi. Un po’ ai nostri giorni e un po’ nel passato. Un passato quasi mitologico. Buoni sentimenti: pochi. Qualche parolaccia. Qualche provocazione…”

La persona vera emerge alla fine attraverso una serie di domande apparentemente retoriche con cui sembra negare tutto, spostando l’attenzione dall’esterno all’interno, al sé: “Ma Velio era felice? Provava mai, nel corso della giornata, uno sconfinato senso di solitudine”. Essere uno e centomila Pozzolini, dunque, e non essere nessuno di tutti quelli.

Marisa Cecchetti

Marisa Cecchetti vive a Lucca. Insegnante di Lettere, ha collaborato a varie riviste e testate culturali. Tra le sue ultime pubblicazioni i racconti Maschile femminile plurale (Giovane Holden 2012), il romanzo Il fossato (Giovane Holden 2014), la silloge Come di solo andata (Il Foglio 2013). Ha tradotto poesie di Barolong Seboni pubblicate da LietoColle (2010): Nell’aria inquieta del Kalahari.