15 Novembre 2024
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L’autonomia differenziata delle Regioni

L’autonomia differenziata per le regioni a statuto ordinario nasce dalla lettera dell’art. 116, comma terzo, della Costituzione. Ossessionati dal nazionalismo fascista, ma poco edotti (salvo alcuni) di nazionalismo democratico e mazziniano, i Padri Costituenti volevano sempre e comunque frazionare il potere centrale. L’Italia non nasce, purtroppo, sul Gruetli nel 1291, con il patto libero tra i tre cantoni “forestali”, Uri, Schwiz e Unterwalden, con il Legame Eterno dei liberi contadini che accetteranno solo sentenze (e tasse) emesse dai loro giudici, liberamente scelti. Magari il nostro Paese avesse oggi lo spirito e il fondamento nazionale-popolare degli amici svizzeri!

Qui da noi, oggi, l’autonomia rafforzata nasce dalle richieste espresse da Lombardia, Veneto e Emilia-Romagna appena due anni fa. L’ambito delle materie nelle quali possono essere definite ulteriori forme di autonomia sono tutte le vecchie aree dell’art.117, ovvero la legislazione “concorrente” (ovvero in comune tra Stato e Regioni) tra politica estera, protezione civile (e arriveranno certamente i disastri “americani”, dove non c’è coordinamento federale) e perfino il sistema tributario, oltre a varie altre zone normative in cui la territorialità non ha comunque significato. E sarebbe anche bene evitare di mettere, dopo le ultime belle parate governative, le questioni serie in mani improprie.

Peraltro, le normative esclusive dello Stato sono già oggi a norma del 117. Cost., “salvo delega alle Regioni”. Un doppio criterio fiscale tra Regione e Stato, in cui o uno o l’atra sono spese inutili, altro che “costi standard”. E come farebbe poi lo Stato a bloccare i trasferimenti a una Regione spendacciona; o come lo Stato centrale potrebbe riavere i soldi che ha dato, magari troppi, alla Regione inefficiente?

Già vedo il delirio: i pescatori abruzzesi che decidono la cybersecurity nazionale, e uno strano soldato della finanza internazionale che fa accordi ridicoli con le Regioni.

Non ci ha insegnato nulla il disastro della finanza creativa delle grandi banche internazionali, che hanno fatto shopping di fessi nelle regioni e nei comuni degli anni ’90? Le abbiamo pagate noi, le incompetenze finanziarie dei regionalisti. Mi immagino i mercati internazionali, possibilmente in mano ai vecchi corallari della Campania che, negli anni ’80 del XIX secolo, arrivarono fino in Giappone.

Ma vediamo ancora la nostra questione. Per la autonomia rafforzata si prevede oggi perfino l’attribuzione della “giustizia di pace”, le norme generali sull’istruzione, la tutela dell’ambiente, dell’ecosistema, dei beni culturali. In questo nuovo scenario i ministri del governo non ci staranno a fare niente. Allora, a questo punto: o eliminiamo lo Stato Centrale, o razionalizziamo le Regioni. Tutte e due le cose insieme non si possono fare.

E poi. quando avete bisogno, cari regionalisti, chiedete, per esempio, al Comando Carabinieri per la Tutela del Patrimonio Culturale, che ha recuperato fino a oggi oltre un terzo dei materiali dichiarati rubati a musei e case private. Con norme diverse, ci sarebbero diverse catene di comando regionali e rapporti territoriali molto complicati. Sarebbe il delirio di Azzaccagarbugli. Come farebbe a funzionare il Comando in un frazionamento folle delle potestà e delle norme? Ai suoi tempo Ci vollero la testa e altri attributi del generale Ferrara per metterlo in piedi. Nel nuovo scenario regionalista certamente non funzionerebbe più.

L’accordo “rinforzato” si basa su una legge egualmente rinforzata, formulata su un’intesa già raggiunta tra Stato e enti territoriali regionali, ma approvata a maggioranza assoluta delle Camere. Campa Cavallo. Qui, il problema vero, per i regionalisti, è quello di attivare subito alcune funzioni aggiuntive, da finanziare tramite la cessione di una quota dell’IRPEF e di altri tributi, tutti prodotti all’interno della Regione. E in quale altro modo, altrimenti? Tutti i redditi di ogni cittadino, salvo rarissimi casi, si producono nella sua regione di residenza o di attività. Ma certamente io in Toscana utilizzo servizi generati anche in Campania o nel Trentino.

Le autonomie differenziate sono state richieste dall’accordo Stato-Veneto, Stato-Emilia Romagna, Stato-Lombardia del 28 febbraio 2018, ma vanno anche oltre il criterio del vecchio Titolo V, riformato stupidamente dalla sinistra per fare l’accordo con la Lega. Accordo che poi non ci fu.

Oggi c’è in ballo anche la tutela dell’ecosistema, tutta la salute, la tutela del lavoro e perfino i rapporti con la UE e quelli internazionali. Tutte le regioni si son riservate di estendere un ulteriore negoziato ad altre materie.

Le regioni che chiedono il sistema “rafforzato”, quindi, possono avere anche poteri diversi e nuovi, anche sulle 23 materie dell’art.117 Cost., sulle quali la Carta richiede una normativa concorrente, cioè stabilita in pieno accordo con lo Stato centrale.

Per il fisco, il ministro Tria ha già dato il via libera agli accordi che potrebbero far trattenere, alle tre regioni suddette, una quota di IRPEF in più. D’altra parte si dovrebbe passare ai “costi storici” e quindi alle tariffe razionali e basse delle forniture di beni e servizi alle Regioni, che non sono determinate, come oggi accade, dai soli risultati dei loro appalti.

E voi credete che le classi politiche regionali non si faranno i costi standard più adatti, magari senza nemmeno perdere le tangenti degli attuali appaltatori? È qui il centro vero del rapporto tra politica e affari, che è l’appalto, come ben sapevano Falcone e Borsellino e il ROS dell’Arma.

Poi si passerà ai bisogni-costi standard, definiti da una ulteriore accordo Stato-Regioni. Questa la teoria, ma chi ci crede? Ovvero, per esempio, nei primi due anni le risorse per la salute saranno sempre le stesse (per la Lombardia 5,6 miliardi l’anno) ma poi, se non si scopriranno le magie dei “fabbisogni standard”, allora il totale delle risorse non potrà non essere inferiore al valore medio nazionale della spesa sanitaria (o altro). Bene. E come si fa a sapere che i bisogni standard non cambieranno, tra evoluzione tecnologica, migliori servizi, concorrenza internazionale? Rimarranno come li abbiamo stabiliti nel 2019, mentre, tra vent’anni, nessuno sa come cureremo il cancro?

Per le autostrade e le infrastrutture le regioni richiedono che tutto passi alle loro amministrazioni; per l’ambiente e i beni culturali si chiede lo stesso, ovvero che tutto passi, ma senza neanche norme concorrenti, alle Regioni. Sui costi standard (se e quando ci saranno) se ne parlerà dopo, con il “cattivissimo” Stato Centrale.

Il modello delle strade sarebbe, secondo i regionalisti, quello della AutoBrennero, che è ottimo. Ma siamo sicuri che in Calabria funzionerà nello stesso modo?

E i danni? Intanto, l’accesso all’istruzione diventa funzione diretta della residenza del soggetto. I capaci e meritevoli, se nati nel posto sbagliato e con pochi soldi in famiglia, dovranno sorbirsi pessime scuole e ancor peggiori università.

Se poi si tengono tutte o quasi le risorse fiscali nel territorio regionale, come certamente accadrà, allora lo Stato non potrà modificare, anche in ottemperanza al testo della Costituzione, le sue attività.

E allora sarà una lotta a coltello tra due entità, le regioni e lo stato centrale, ma è quest’ultimo che deve pagare i titoli del Debito Pubblico. E le regioni, non è difficile immaginarlo, si indebiteranno un’altra volta, e al povero Stato sarà demandato l’obbligo di saldare le fantasie democratiche degli autonomisti. E le entrate per lo stato centrale diminuiranno. Allora chi li paga gli interessi per i titoli del debito pubblico? Li salderemo con le mele del Trentino o con i vini toscani?

 

Se si volesse davvero – lo dico ai dirigenti leghisti – sopprimere buona parte della spesa inutile, dovremmo piuttosto unificare le troppe regioni in sole tre macro-regioni, come chiedeva un grande federalista che viveva ai confini della Svizzera: Gianfranco Miglio.

In sostanza, i partiti attualmente in Parlamento vogliono, con questa normativa, sostenere i loro bacini elettorali regionali e acquisire, a seconda di quanto decideranno tra poco, la quota dei “costi standard” che probabilmente li favorirà. E favorirà i loro amici finanziatori.