Salvini e l’autosgambetto
È questo il momento in cui una certa sintonia emozionale e (diciamocelo) culturale col Paese profondo sta per fare lo sgambetto a Matteo Salvini. Il ministro dell’Interno, che spazzola la penisola quotidianamente da nord a sud e pettina il pelo sullo stomaco degli italiani h24, solleticando pulsioni di intolleranza e razzismo, è al suo giro di boa. È nel punto in cui, forte del consenso raggiunto e sensibile nel comprendere che tanta parte di concittadini sono con lui nella condivisione di un sentimento di rivalsa contro la paura e contro chi, nell’immaginario, quella paura rappresenta (negro o migrante che sia), comincia davvero a esagerare, allontanando dalle sue posizioni i moderati che finora lo hanno sostenuto.
Che la questione migratoria sia uno dei problemi enormi del sud Europa, delle economie delle nazioni che si affacciano sul Mediterraneo è inequivocabile.
Che una parte consistente di migranti (soprattutto nigeriani e tunisini) vada a fortificare i ranghi della malavita delle nostre città, nei traffici della droga e della prostituzione è inequivocabile.
Che alcune ONG nord europee lavorino per dislocare migranti nei Paesi del sud Europa con la scusa dell’aiuto umanitario è inequivocabile.
Che la sinistra (dopo non aver saputo replicare a Berlusconi per quasi 20 anni sul piano politico e abbia invece urlato alla scandalo giudiziario da comode case, lavori di livello, esistenze al riparo dai venti della crisi economica) oggi non sappia tenere il punto delle questioni economiche e politiche contro i provvedimenti incompetenti del governo gialloverde è inequivocabile.
Allora, perché Salvini sta per commettere lo stesso errore di Renzi? Perché sta alzando i toni della sfida? Certo, per le elezioni prossime imminenti. Tuttavia dovrebbe sapere che non funziona molto alzare i toni. Se il 27 maggio la Lega non avrà stravinto sui 5S, sarà dura per Salvini continuare a fare la faccia dura, come fu per Renzi dopo la sconfitta al referendum (altro grave errore della sinistra non averlo appoggiato).
Oggi l’Italia è al minimo della sua credibilità internazionale ed è al minimo delle sue possibilità, perché non è soltanto il presente a essere incerto, ma è il futuro che non si riesce a percepire migliore, anche di pochissimo ma migliore. No, è un futuro scuro quello che ci aspetta, senza un politico o un partito o un movimento che sappia davvero dove far attraccare questa nostra barca nazionale, per ripararsi dal buio e dalla tempesta della notte che inizia. Siamo senza progetti, senza speranza, senza una forza responsabile che si carichi il Paese sulle spalle e lo aiuti nella traversata. Gli italiani non sono più comunità, né c’è una parte di loro che è comunità: ognuno gioca da solo. E quando si gioca da soli la squadra perde.